Web tax, Ue in ordine sparso Tregua tra Francia e Stati Uniti
Continua a essere lontano l'accordo tra i ministri finanziari dell’Unione Oggi in Svizzera l’incontro tra il francese Le Maire e l’americano Mnuchin
È una tregua da valutare con cautela quella raggiunta tra la Francia e gli Stati Uniti sulla tassa digitale francese che ha provocato la minaccia di ritorsioni americane. Durante una conversazione telefonica, il presidente francese e il suo omologo americano si sono messi d’accordo per evitare una escalation commerciale da qui a fine anno e trovare presto un’intesa. C’è da chiedersi tuttavia se perduranti divisioni europee su questo fronte non stiano indebolendo la posizione francese e comunitaria.
«Il presidente Emmanuel Macron e il presidente Donald Trump hanno avuto una discussione molto costruttiva (…) e si sono detti d’accordo per evitare una escalation. È una notizia positiva. Continuiamo a lavorare. A livello tecnico siamo in contatto giorno e notte per trovare una soluzione», ha detto ieri il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire a margine di una riunione ministeriale qui a Bruxelles. L’uomo politico incontrerà oggi a Davos il segretario al Tesoro Steven Mnuchin.
La Francia ha adottato nel 2019 una tassa (pari al 3% del giro d’affari) da imporre alle imprese digitali, per loro natura difficili da tassare per via di una attività che non produce beni fisici e che è difficile da circoscrivere geograficamente. Washington ha accusato Parigi di avere ideato l’imposta solo per tassare le grandi imprese americane. Il presidente Trump ha quindi minacciato ritorsioni commerciali, che colpirebbero con nuove tariffe prodotti francesi del valore di 2,4 miliardi di dollari.
La conversazione di lunedì sera tra i due presidenti è stata commentata in modo diverso. Su Twitter, il presidente francese ha parlato di «eccellente discussione» con la sua controparte americana. «Lavoreremo insieme per un buon accordo». Più guardinga è stata la Casa Bianca: i due presidenti si sono «trovati d’accordo per affermare che è importante completare con successo il negoziato». Da Davos, il presidente Trump ha ricordato ieri la partita aperta sulle auto europee, minacciando nuovamente dazi.
Parlando sempre ieri al Wall Street Journal, il segretario al Tesoro Mnuchin ha spostato l’attenzione sul Regno Unito e l’Italia, auspicando che entrambi sospendano i progetti di imposta digitale: «Se non lo faranno, si troveranno ad affrontare i dazi del presidente Trump. Avremo conversazioni simili anche con loro». Da Londra, un portavoce di Downing Street ha detto che la Gran Bretagna vuole «una appropriata soluzione globale». Da Roma, il Tesoro non ha commentato.
Secondo l’agenzia di stampa Afp, una fonte francese ha spiegato che Parigi sta riflettendo sulla possibilità di sospendere il versamento degli acconti di aprile e novembre previsti dalla nuova imposta «per dare tempo» alle parti di trovare un’intesa. Come ha suggerito il governo inglese, lo sguardo corre ai negoziati nell’ambito dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) che da tempo sta lavorando su un progetto di tassa digitale a livello mondiale.
Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, ieri i ministri delle Finanze, riuniti per una due-giorni di incontri, non sono riusciti a trovare un consenso in vista di una comune posizione europea con la quale affrontare la prossima riunione dell’Ocse, prevista il 29-30 gennaio. «I grandi Paesi hanno idee simili, ma ve ne sono altri come l’Irlanda o gli Stati scandinavi che vogliono mantenere viva la loro posizione nazionale», spiegava ieri un esponente comunitario.
Questi Paesi sono gli stessi che hanno fatto naufragare il progetto europeo di tassa digitale presentato
Aspettando l’Ocse
A parole, è sacrosanto per tutti che i giganti della tecnologia paghino più tasse. Ma gli Stati rimandano a un accordo europeo e la Ue guarda all’Ocse per un’intesa globale. Risultato: i Paesi si stanno muovendo in ordine sparso, provocando tensioni tra chi dovrebbe risolverle.
A muoversi per primi erano stati i francesi con un’imposta del 3% sulle società con un fatturato mondiale di 750 milioni di euro, 25 dei quali generati in Francia. Congelata per il timore di dazi più alti di quanto ricaverebbe l'Erario. L’Italia ne ha approvata una simile (aliquota al 3% ed eliminazione del credito d’imposta per società con ricavi oltre i 750 milioni, di cui almeno 5,5 milioni derivati da servizi digitali): minacciata di dazi. A livello europeo, l’Irlanda ha contribuito a far naufragare un accordo tra i Ventotto sulla web tax. Francia, Italia, Spagna e Austria si erano subito dette favorevoli. Contrari alcuni Paesi del nord-Europa. E in particolare Dublino. Ma la maggioranza non conta, perché l’approvazione richiede l’unanimità.
Così a ottobre, l’Ocse ha aperto a un compromesso: ammorbidimento rispetto alle norme francesi, con una parziale riallocazione dei profitti in base al mercato reale e non alla sede. Una proposta ancora a livello di consultazione. Non c’è al momento un accordo politico. Tanto meno i dettagli tecnici. dalla Commissione Juncker. Divisi, i Ventisette indeboliscono probabilmente la loro posizione nell’Ocse e di converso la posizione della Francia nei confronti degli Stati Uniti. In una conferenza stampa ieri, il vicepresidente dell’esecutivo comunitario Valdis Dombrovskis ha criticato la reazione americana, sottolineando che l’imposta francese colpisce un settore, non specifiche aziende.
Timme Spakman, economista di ING, commentava ieri che «l’atteggiamento più morbido» dell’amministrazione americana «sta riducendo i rischi di una nuova guerra commerciale». Ciò detto, il presidente Trump resta imprevedibile: «Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Unione europea rimangono alte in un contesto nel quale le catene di valore transatlantiche sono molto intrecciate. Una guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa provocherebbe danni significativi all’economia mondiale».