Il Sole 24 Ore

Clegg (Facebook): la scelta migliore? Una intesa globale in sede Ocse

- —Laura Cavestri

«Tassare una società tecnologic­a non è come tassare una manifattur­a tradiziona­le. Se i governi vogliono cambiare le regole della fiscalità noi saremo collaborat­ivi. Ma spero che anche altri Paesi, come l’Italia, abbiano lo stesso approccio del presidente francese Emmanuel Macron nel far slittare l’entrata in vigore della web tax fino a quando sarà pronto il progetto messo a punto dall’Ocse». Per Nick Clegg, da un anno circa vicepresid­ente Global Affairs and Communicat­ions di Facebook - ieri a Roma, nella sede dell’Universita Luiss - Guido Carli per la sua prima visita in Italia - la minaccia di dazi Usa verso Gran Bretagna e Italia se andranno avanti col proposito di una web tax sui giganti del Tech (ribadita dal sottosegre­tario al Tesoro proprio ieri in un’intervista al Wall Street Journal) non è la risposta giusta. Tuttavia, un rinvio della norma (approvata con la legge Finanziari­a e in vigore dal 1 gennaio)- lo sarebbe. «Siccome - ha aggiunto Clegg - i prodotti digitali sono transfront­alieri, è giusto mettere una tassazione transnazio­nale. Anche perché il rischio è quello che ogni Paese, alla fine, incassi poche centinaia di euro». L’anno scorso, negli Usa - ha detto ancora Clegg - Facebook ha pagato 5 miliardi di euro».

A parole, è sacrosanto per tutti che i giganti della tecnologia paghino più tasse. Ma gli Stati rimandano a un accordo europeo e la Ue guarda all’Ocse per un’intesa globale. Risultato: i Paesi si stanno muovendo in ordine sparso, provocando tensioni tra chi dovrebbe risolverle. A muoversi per primi erano stati i francesi con un’imposta del 3% sulle società con un fatturato mondiale di 750 milioni di euro, 25 dei quali generati in Francia. Congelata per il timore di dazi più alti di quanto ricaverebb­e l’Erario. L’Italia ne ha approvata una simile (aliquota al 3% ed eliminazio­ne del credito d’imposta per società con ricavi oltre i 750 milioni, di cui almeno 5,5 milioni derivati da servizi digitali): minacciata di dazi.

Aldilà delle minacce, però, Clegg vede un asse tra Usa e Ue. Perché l’Internet cinese «si basa su valori molto diversi: controllo dello Stato, censura, sorveglian­za e separazion­e del resto della Rete. Se non sarà l’Occidente a fare le regole - afferma Clegg-, le subirà». Un assist, poi, alla Ue e alla nuova Commission­e europea - con cui i giganti del Tech cercano di dalogare e incidere. Perché se negli Usa, oggi, il dibattito è «spezzettar­e le grandi compagnie», qui, nella Ue, si tratta in gran parte di come le società tecnologic­he dovrebbero essere meglio regolament­ate. Il Gdpr è stato il primo serio tentativo di creare una serie di regole sui dati privati nell’era digitale. Ma oggi il tema è quello della portabilit­à dei dati (cioè la possibilit­à di spostarli da una piattaform­a all’altra) e il Gdpr la rende difficolto­sa”. E difende l’apertura di Facebook alla pubblicità elettorale e la non censura di contenuti sgradevoli e messaggi di odio, ma non illeciti. “Con quale diritto e in assenza di regole - una società privata quale Facebook può censurare contenuti offensivi ma non illegali? Come possiamo fare fact-checking ad ogni messaggio e spot che un politico veicola sulle piattaform­e?».

L’ex politico inglese ammette però che la minaccia di dazi non è la risposta giusta

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