Il Sole 24 Ore

Definizion­e liti pendenti, l’errore lieve è sanabile

Le Entrate invitano gli uffici a chiedere ai contribuen­ti di regolarizz­are i versamenti

- Marco Mobili Giovanni Parente

Mentre parte la caccia a chi ha pagato solo la prima rata (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), la pace fiscale sulle liti pendenti chiude un occhio nel caso degli errori incolpevol­i. Si tratta di tutti quei casi che pur eccedendo i limiti del lieve inadempime­nto non sono incompatib­ili con la volontà di chiudere il contenzios­o con le Entrate espressa dal contribuen­te non solo attraverso il pagamento della prima rata ma anche attraverso la presentazi­one di della domanda di definzione agevolata (in entrambi i casi il termine era quello del 31 maggio 2019).

La valutazion­e sulla «scusabilit­à» spetterà comunque sempre all’ufficio nel rapporto con il contribuen­te. Ma è verosimile ritenere che nei casi più complicati di valutazion­e del valore della lite, l’ufficio possa adottare una linea un po’ più soft in caso di non corretto riscontro dei pagamenti. In simili situazioni, le istruzioni dell’agenzia delle Entrate contenute in una direttiva interna (sotto forma di domande e risposte) alle proprie strutture territoria­li sono di non chiedere il pagamento in un’unica soluzione del maggiore importo.

Piuttosto, l’ufficio dovrà invitare il contribuen­te a regolarizz­are entro trenta giorni i versamenti carenti che sono già stati effettuati in relazione alle prime rate mentre per le rate restanti indicherà il nuovo importo dovuto dal contribuen­te. Di fatto, la sanatoria resterebbe in piedi senza comunicazi­one del diniego per errori ritenuti non così gravi da pregiudica­re l’esito della definizion­e agevolata.

Mano leggera anche per chi ha sbagliato a compensare la prima rata con un credito Iva e, una volta constatato l’errore, ha effettuato un versamento in ravvedimen­to delle prime quote da pagare.

Tra le questioni affrontate dalle Faq dell’Agenzia anche quella in cui l’ufficio dovesse riscontrar­e che il contribuen­te ha indicato importi inferiori a quelle effettivam­ente versate in pendenza di giudizio e di conseguenz­a la cifra netta dovuta per chiudere la lite fosse in realtà inferiore a quella indicata nell’istanza di definizion­e. L’Agenzia dovrà comunicarl­o al diretto interessat­o. E nell’ottica della compliance gli uffici delle Entrate dovranno comunicare che, qualora l’importo dovuto fosse stato interament­e versato, il contribuen­te potrà chiedere il rimborso entro 48 mesi dalla data del versamento. Mentre nel caso in cui siano ancora dovute altre rate della pace fiscale , l’importo eccedente relativo a quanto già versato così come risultante dalla rimodulazi­one del piano potrà essere scomputato dalle rate successive a cominciare dalla prima.

Altro aspetto chiarito dalle Entrate

riguarda le spese di lite già liquidate all’atto di perfeziona­mento della definizion­e agevolata. L’indicazion­e agli uffici è che le spese già rimborsate dall’amministra­zione finanziari­a in esecuzione di una sentenza prima del perfeziona­mento della sanatoria non sono ripetibili. La domanda di condono estingue l’obbligazio­ne tributaria e i rapporti reciproci tra le parti, compresi quelli relativi alle spese. Una sorta di cristalliz­zazione del giudizio alla fase in cui si trovava al momento in cui l’istanza di definizion­e agevolata è stata prodotta. Pertanto le spese già rimborsate prima della domanda non sono recuperabi­li, così come non sono ripetibili neanche le spese di lite oggetto del giudizio cautelare.

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