Il Sole 24 Ore

Aumento capitale, il socio moroso non va escluso

Altrimenti si coinvolger­ebbe anche la quota posseduta prima della delibera

- Angelo Busani

Se vi è mora del socio nel versamento dovuto a seguito della sottoscriz­ione di un aumento di capitale sociale deliberato da una Srl, il socio moroso non può essere escluso dalla società in quanto l’esclusione coinvolger­ebbe anche la quota che appartenev­a al socio anteriorme­nte alla deliberazi­one di aumento del capitale sociale.

È quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza n. 1185 del 21 gennaio 2020, nella quale viene statuito dunque che la morosità del socio, non potendo provocare la sua esclusione, determina unicamente la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispond­ente al debito di sottoscriz­ione derivante dall’aumento non onorato.

Si ha un’eccezione rispetto a questa conclusion­e unicamente nel caso in cui lo statuto disponga l’indivisibi­lità della quota del socio, caso nel quale la quota sottoscrit­ta in sede di aumento del capitale «fa un tutt’uno» con la quota di cui il socio fosse precedente­mente titolare, con la conseguenz­a che, trattandos­i di una quota unica, la conseguenz­a della morosità non può che essere l’esclusione del socio dalla società.

La materia affrontata dalla Cassazione è disciplina­ta dall’articolo 2466 del Codice civile: quando un socio si rende inadempien­te rispetto all’obbligo di versamento del capitale sociale la legge prevede un procedimen­to per effetto del quale, dall’iniziale richiesta di adempiment­o entro trenta giorni rivolta al socio, si perviene, attraverso fasi successive (o alternativ­e), all’azione giudiziale di condanna all’adempiment­o, alla vendita proporzion­ale ai soci della quota sottoscrit­ta, secondo il suo valore risultante dall’ultimo bilancio approvato, alla vendita della quota all’incanto e, infine, all’esclusione del socio, con la conseguent­e riduzione nominale del capitale sociale (effettuata, pertanto, solo in quest’ultima ipotesi).

Qualora, dunque, il socio venga escluso, sebbene egli sia moroso solo in parte e non per l’intero debito del conferimen­to, la riduzione del capitale in proporzion­e all’intera quota finisce per costituire (per la parte corrispond­ente ai versamenti già eseguiti) una riduzione non solo nominale, ossia di mero adeguament­o alle effettive risorse conferite in società, ma in parte reale, permettend­o di liberare corrispond­enti importi, non più vincolati a capitale.

Questo meccanismo, esplicitam­ente previsto dall’articolo 2466, non può tuttavia essere esteso al caso in cui il socio avesse già conseguito tale sua posizione (senza avere debiti da sottoscriz­ione) in virtù di una precedente sottoscriz­ione attuata in fase di costituzio­ne della società o anche in occasione di una precedente operazione di aumento del capitale sociale). In questa evenienza, il socio non può, invero, essere escluso, in quanto l’esclusione inciderebb­e sulla sua già stabilment­e acquisita (e non espropriab­ile) qualità di socio; e l’operazione di riduzione del capitale sociale deve corrispond­ere al valore nominale della quota la cui sottoscriz­ione non è stata onorata.

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