Guerra dei dazi, Trump colpisce acciaio e alluminio
Dall’8 febbraio rincari tra il 25 e il 10%, l’Europa non è esentata Timori dei produttori italiani per il rischio contraccolpi legati all’import in dumping
L'amministrazione Trump fa scattare nuove rappresaglie contro acciaio e alluminio importati. Il presidente Usa ha deciso di colpire prodotti derivati che vanno dai chiodi ai cavi elettrici fino a una serie di componenti per il settore del trasporto auto e trattori: dall’8 febbraio nuovi dazi del 25% sui derivati dell’acciaio e del 10% su quelli dell’alluminio. Sanzioni
che si affiancheranno ai balzelli varati quasi due anni fa. E l’Europa non figura nella scarna lista dei Paesi esentati. L'impatto sull'industria siderurgica italiana sarà, come nella precedente azione, soprattutto indiretto, ma non per questo indolore. Bregant (Federacciai): migliorare il meccanismo di salvaguardia Ue.
L’amministrazione Trump fa scattare nuove rappresaglie contro acciaio e alluminio importati negli Stati Uniti. Con un “proclama” dalla Casa Bianca, Donald Trump ha deciso di colpire prodotti derivati che vanno dai chiodi ai cavi elettrici fino a una serie di componenti per il settore dei trasporti - auto come trattori. E così facendo ha alzato nuovamente il tiro delle sue offensive commerciali su scala internazionale, potenzialmente anche nei confronti di paesi alleati, Europa compresa, se non ci saranno ulteriori sviluppi nella disputa.
La decisione, a partire dall’8 febbraio, impone nuovi dazi del 25% sui derivati dell’acciaio e del 10% su quelli dell’alluminio. Sanzioni che si affiancheranno agli esistenti “balzelli” già del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio annunciati quasi due anni fa. I provvedimenti sono stati presi adducendo controverse ragioni di «sicurezza nazionale» previste per proteggere - anche dagli alleati una base industriale domestica definita «essenziale per la difesa e le infrastrutture di importanza critica». Trump, oggi come in precedenza, ha fatto ricorso alla cosiddetta Sezione 232 del Trade Act del 1962, sfoderata per la prima volta dalla metà degli anni Novanta.
Per motivare la nuova escalation, il Presidente ha citato analisi del Dipartimento del Commercio che rilevano come - nonostante l’import di acciaio e alluminio sia sceso dopo gli iniziali dazi - le spedizioni di derivati da parte di produttori esteri siano invece aumentate. Simili importazioni rappresenterebbero un tentativo di aggirare le esistenti strette imposte dal governo. «Minacciano di minare le azioni intraprese per affrontare i rischi corsi dalla sicurezza nazionale degli Stati Uniti», ha affermato l’ordine firmato da Trump, rendendo indispensabile «correggere i dazi». Da Bruxelles per ora non vi sono risposte, stanno esaminando i codici dei prodotti coinvolti dal provvedimento per quantificare eventuali penalizzazioni per l’Europa. Lunedì ne sapremo di più.
I prezzi dell’acciaio, in particolare, sono tornati a scendere del 30% - e con essi performance e titoli delle società del settore - dopo iniziali rialzi in risposta ai primi provvedimenti nel 2018. Ma gli analisti attribuiscono il fenomeno, più che a nuove “invasioni”, proprio a una maggior produzione interna combinata con una domanda che risente di declini dell’attività manifatturiera.
La Casa Bianca ha elencato al momento alcune esenzioni all’escalation: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Messico e Corea del Sud verranno risparmiati da nuovi dazi legati all’acciaio. Argentina, Australia, Canada e Messico dalle sanzioni su prodotti in alluminio. Contro Argentina e Brasile gli Usa avevano tuttavia già reimposto di recente, dopo averle sospese, le originali sanzioni sui metalli. Con Canada e
Messico, in particolare, Trump è invece reduce dal varo d’un riformato accordo di libero scambio in Nordamerica che rende improbabili per ora ulteriori rappresaglie.
La nuova mossa mantiene tuttavia alte le incertezze sull’interscambio a livello globale, mostrando come recenti parziali intese con la Cina e sforzi diplomatici con l’Europa non abbiano esorcizzato lo spettro di crociate commerciali unilaterali della Casa Bianca. Se con i partner nordamericani e con la stessa Cina sono emersi compromessi - l’accordo di Fase 1 con Pechino ha quantomeno ammorbidito il conflitto bilaterale - un potenziale indurimento della posizione con l’Europa da parte di Trump è parso tuttora nelle carte. Durante il recente World Economic Forum di Davos, il Presidente ha ammonito che giri di vite sono possibili quest’anno in assenza di intese. E ha nuovamente fatto balenare dazi contro auto europee e loro componentistica. Ha detto che trattare con l’Europa è più difficile che negoziare con la Cina.