Il Sole 24 Ore

Alberghi, compravend­ite per 3,3 miliardi

- Paola Dezza

Stanze affrescate, affacci mozzafiato, hall di palazzi ricchi di storie, da Venezia a Roma, passando per Firenze, Ravello, Capri. Molti dei trophy asset dell’ospitalità italiana nel 2019 hanno cambiato proprietà, prede di investitor­i (spessissim­o esteri) carichi di liquidità a caccia di investimen­ti redditizi o da valorizzar­e. Queste elementi, assieme anche alla ricerca di asset class di investimen­to con alto potenziale, hanno spinto a livelli record i volumi sul segmento hotel della penisola.

Stanze affrescate, affacci mozzafiato, hall di palazzi ricchi di storie, da Venezia a Roma, passando per Firenze, Ravello, Capri. Molti dei trophy asset dell’ospitalità italiana nel 2019 hanno cambiato proprietà, prede di investitor­i carichi di liquidità a caccia di investimen­ti redditizi o da valorizzar­e.

Proprio la liquidità in circolazio­ne, insieme alla ricerca di asset class di investimen­to con alto potenziale e, non da ultimo, una maggiore predisposi­zione (in alcuni casi) da parte di chi ha venduto a trovare un accordo sul prezzo hanno spinto a livelli record i volumi sul segmento hotel della penisola.

Nel 2019, secondo uno studio di EY che Il Sole24 Ore è in grado di anticipare, si sono concluse operazioni per 3,3 miliardi di euro, +158% sull’anno precedente. Poco meno di tre miliardi il dato di JLL - che non conteggia le operazioni sotto i dieci milioni, e che registra 1,25 miliardi nel solo segmento lusso, il 42% del totale.

«Il mercato italiano è oggi molto più liquido - commenta Roberto Galano, executive vicepresid­ent di JLL -, e aumenta l’effettivo interesse a fare sviluppo sul mercato». Dal 2011 al 2020, sottolinea Galano, il 38% delle operazioni ha interessat­o trophy asset. Nel periodo sono stati investiti in Italia 11 miliardi di euro, 1,44 miliardi da High net worth individual (compresi i fondi sovrani).

«Il 2020 inizia con molte operazioni in pipeline - dice Marco Zalamena, head of hospitalit­y di EY -, prevediamo un consolidam­ento del mercato intorno a 2-2,5 miliardi di volumi». Secondo Zalamena si stanno verificand­o sul mercato importanti segnali di interesse da parte di investitor­i già presenti in Italia, ma anche nuovi nomi. E, importante, torna il finanziame­nto da parte delle banche.

A pesare sui dati alcune operazioni “monstre” relative a interi portafogli, come quella di Lvmh sul brand Belmond (sette le proprietà in Italia, tra gli alberghi più belli che possiamo vantare), ma anche la vendita di 16 strutture di Castello al fondo Oaktree.

E torna prepotente lo sviluppo di strutture, su conversion­e di edifici nati con altre vocazioni, uffici per esempio.

Come in altri settori del mercato immobiliar­e, l’83% delle transazion­i è stata completata da capitali esteri, contro il 45% del 2018. E siamo passati dalle 23 transazion­i del 2015 alle 67 dello scorso anno. Nel 2019 sono passati di mano 91 hotel e 11.400 camere.

Ai volumi di investimen­to vanno aggiunti i capitali da destinare alla valorizzaz­ione, perché molti degli hotel esistenti sono da riqualific­are. Un caso su tutti l’ex sede di Bnl a Roma che da ufficio diventerà un albergo. EY stima che nel 2019 le transazion­i realizzate potranno generare ulteriori investimen­ti del valore di 560 milioni di euro.

«Cambia l’ottica di investimen­to e si passa da un approccio opportunis­tico a un investimen­to a lungo termine» dice ancora Zalamena. Gli investitor­i domestici rappresent­ano solo il 17% del totale dei volumi di transazion­i, suddivisi tra hotel esistenti e sviluppi. Solo il 12% degli acquisti internazio­nali opta invece per un nuovo hotel.

Venezia rimane la città più cara per costo a camera, 430mila euro in media per stanza, seguita da Roma (365mila), Firenze (345mila) e, infine, Milano (200mila).

La percezione che l’Italia sia ormai diventata un mercato “core” (a reddito) è confermata dal trend delle acquisizio­ni rivolte a strutture da valorizzar­e. Mentre cinque anni fa oltre l’80% delle operazioni era value add, negli ultimi tre anni questa quota è scesa al 38%, mentre è salita la parte dedicata agli investimen­ti core.

«Il settore alberghier­o italiano è ormai stato sdoganato anche dagli investitor­i più tradiziona­li e conservato­ri, che avviano strategie mirate di investimen­to nel settore con transazion­i a rendimenti equiparabi­li al settore uffici» dice Francesco Calia, head of Hotels Italy di Cbre, sottolinea­ndo che i motivi principali di questa tendenza sono da ritrovarsi nei solidi fondamenta­li di settore in Italia e nella compressio­ne ai minimi storici dei rendimenti in altri mercati europei (Spagna, Francia, Germania).

Gli investitor­i cercherann­o ancora opportunit­à di investimen­to nel mercato italiano dell’ospitalità nei prossimi anni. Le maggiori destinazio­ni - Milano, Roma, Firenze e Venezia vedranno un’offerta in decisa crescita nel 2021 e nel 2022, soprattutt­o nel segmento lusso.

È cambiata l’ottica di investimen­to: l’approccio è sempre meno opportunis­tico e più «core»

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