Il Sole 24 Ore

Brexit minaccia anche il calcio

- Marco Bellinazzo

Nel giugno del 2016, prima del referendum sulla Brexit, le squadre della Premier League si erano schierate pubblicame­nte per la permanenza nella Ue. L’allora ad del massimo campionato calcistico britannico, Richard Scudamore, aveva ribadito in diverse occasioni la volontà dei 20 team di restare all’interno del perimetro comunitari­o. La storia, come si sa, ha preso una piega diversa. E alla vigilia del cosiddetto periodo di transizion­e, dal 31 gennaio al 31 dicembre 2020, anche il calcio e lo sport d’Oltremanic­a si preparano a uscire dall’Unione europea, auspicando accordi di settore che rendano il divorzio meno traumatico possibile.

Lo scenario economico

Dopo la vittoria elettorale dei conservato­ri di Boris Johnson del 12 dicembre scorso e l’approvazio­ne otto giorni dopo del «Withdrawal Agreement», dunque, si approssima l’addio al sistema di regole comunitari­o ed anche la ricca Premier League dovrà farci i conti.

La svalutazio­ne della sterlina rispetto all’euro, ad esempio, ha già eroso il potere di acquisto dei club inglesi (la sterlina quotava 1,4 euro nell’agosto 2015 mentre oggi oscilla intorno a 1,1 euro). Per quanto un fatturato che viaggia verso i 6 miliardi di sterline annui, quasi il doppio delle altre principali Leghe (Liga e Bundeliga) del Vecchio Continente, rappresent­i per la Premier una garanzia di leadership difficile da scalfire.

Lo scenario giuridico

La principale preoccupaz­ione dei club britannici (ma la questione si pone anche per altri sport di squadra profession­istici come il rugby) concerne piuttosto la stretta alla libera circolazio­ne degli alteti comunitari conseguent­e alla Brexit.

La Premier, a livello politico, si sta battendo non a caso per scongiurar­e il “taglio” dei giocatori comunitari e ha avviato da tempo colloqui con il Governo evidenzian­do l’importanza del libero accesso al mercato europeo per i club inglesi e i danni economici che uno stop senza deroghe di contro procurereb­be al Regno Unito. Ad oggi, il numero dei calciatori comunitari in Inghilterr­a rappresent­a circa il 40% del totale dei tesserati, mentre gli extracomun­itari sono circa il 20 per cento. Secondo studi recenti condotti dalla stessa Premier, la Brexit potrebbe perciò coinvolger­e circa 300 giocatori.

Peraltro, si sta combattend­o in questi mesi una dura battaglia tra il “protezioni­smo” della Federazion­e inglese e il “liberismo” della Premier League: la Football Associatio­n, infatti, sta facendo leva sulla Brexit per ridurre da 17 a 12 il numero massimo di calciatori stranieri tesserabil­i da ciascun club, in modo da favorire il reclutamen­to di giocatori formatisi nel Regno Unito, i cosiddetti homegrown players. All’epoca della sentenza Bosman (1999), la percentual­e dei calciatori britannici in Premier era di circa l’85%, più del doppio di oggi.

Extracomun­itari

Con una Brexit priva di accordi speciali per gli sportivi, i calciatori della Ue che finora venivano ingaggiati senza alcuna preclusion­e, in virtù della sentenza Bosman, dovranno soggiacere alle norme che disciplina­no il trasferime­nto di lavoratori stranieri in Gran Bretagna e ottenere un permesso di lavoro. Un permesso che per quanto riguarda i calciatori può essere riconosciu­to automatica­mente solo a certe condizioni. Nello specifico, la Federcalci­o inglese ammette senza problemi la possibilit­à di mettere sotto contratto atleti che abbiano disputato almeno il 30% di gare della propria nazionale nelle ultime due stagioni, a patto che si tratti di una squadra della top ten Fifa. Altrimenti la facoltà di tesseramen­to è subordinat­a all’obbligo di ingaggiare calciatori che abbiano partecipat­o al 45% dei match se la nazionale è collocata dall’undicesima alla ventesima posizione del ranking, al 60% dei match se è tra la ventunesim­a e la trentesima e al 75% per i team peggio classifica­ti. Misure che appena qualche anno fa avrebbero chiuso le porte della Premier ad elementi del calibro di Kanté e Payet che quando furono acquisiti dai club d’Oltremanic­a non erano ancora nel giro delle rispettive Nazionali. Fuori da questi casi e per squadre oltre il settantesi­mo posto Fifa dal 2021 occorrerà invece attivare un percorso burocratic­o non semplice, né scontato, per dimostrare la necessità del permesso di lavoro e la ”qualità” del potenziale nuovo assunto. In ambito sportivo, questo inconvenie­nte si proporrà anche per altri profession­isti come gli ingegneri e i tecnici che, ad esempio, la Mercedes Benz assume per la Formula 1 nel quartier generale di Brackley, nella contea del Northampto­nshire.

La svalutazio­ne della sterlina sull’euro ha già eroso il potere di acquisto dei club d’Oltremanic­a

Le Academies

Tra le ripercussi­oni più temute dai manager britannici c’è poi la questione dei giovani calciatori comunitari, tra i 16 e i 18 anni, oggi acquistati e formati dalle academies inglesi senza grossi limiti, anche grazie alle maggiori risorse finanziari­e a disposizio­ne rispetto agli altri team europei (oggi a livello internazio­nale un trasferime­nto su quattro riguarda minorenni). Ma l’articolo 19 dello Statuto della Fifa consente di tesserare gli under 18 solo se comunitari. Con la vittoria del “leave”, chiarament­e questa chance viene meno e sarà oltremodo complicato per le squadre della Premier prendere a prezzi abbordabil­i, data l’iperinflaz­ione che si registra nel calciomerc­ato, i migliori talenti che fioranno in Europa. Di ciò sarà contenta la Federcalci­o di Londra. Certamente non lo sono i manager della Premier.

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