La siderurgia italiana ora teme soprattutto l’impatto indiretto
Bregant (Federacciai): migliorare il meccanismo di salvaguardia della Ue
L’impatto sull’industria siderurgica italiana della nuova campagna protezionistica dell’amministrazione Trump sarà, come nella precedente azione, soprattutto indiretto. Ma non per questo indolore.
Incrementare ulteriormente i dazi sui flussi di esportazione dei paesi stranieri verso gli Stati Uniti significa, inevitabilmente, incoraggiare i paesi terzi a imboccare la strada verso l’Unione europea, mercato meno orientato a politiche protezionistiche tout court. Il fenomeno, paventato dai produttori in occasione dei primi annunci dell’era Trump, si è manifestato con forza in questi anni. Per correre ai ripari Bruxelles si è dotata di un meccanismo, denominato “di salvaguardia”, in base al quale sono stati fissati dei contingenti specifici per ogni paese (calcolato sulla base dei flussi degli anni precedenti), oltre i quali le vendite in ingresso nella Ue vengono daziate.
Si tratta di un provvedimento criticato dai produttori europei, che lo hanno giudicato inadeguato per difendere l’industria dell’acciaio, in particolare in questa difficile fase congiunturale, in cui la siderurgia della vecchia Europa sta pagando più di altre la sovracapacità produttiva globale. Il meccanismo è stato revisionato e un nuovo aggiornamento era previsto per l’estate di quest’anno ma «non c’è dubbio spiega Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai - che ora diventi urgente accelerare. Di fronte a questo inasprimento deciso dall’amministrazione Trump - prosegue - dobbiamo pensare a strumenti di difesa nuovi e diversi».
L’Italia, inoltre, si è mostrata il “ventre molle” del continente, particolarmente esposta ai flussi da Turchia e da altri paesi terzi (anche se molti volumi sono in transito), con una siderurgia nazionale inoltre indebolita dalle difficoltà del principale player sul territorio, l’ex Ilva.
Diverso il ragionamento sull’effetto diretto, vale a dire sulle esportazioni di acciaio dall’Italia verso gli Usa. L’entità dei volumi in assoluto non è tale da impattare sugli equilibri dell’industria nazionale, anche se molti singoli player possono vantare flussi consistenti verso il Nordamerica; volumi fino a poco tempo fa rimasti inalterati nonostante i dazi, grazie al surriscaldamento dei prezzi sul mercato interno Usa. Ora, però, con la congiuntura sfavorevole e l’escalation di Trump, tutto sta diventando più complicato. C’è chi, come Acciaierie Valbruna che controlla un laminatoio in Indiana, non ha avuto scelta ed è corso ai ripari, rilevando pochi mesi fa un produttore in Canada, paese esente (anche in questa occasione) dai dazi Usa. Marcegaglia ha invece ceduto in questi anni le attività americane anche se la scelta, secondo fonti vicine alla società, non è da collegare agli orientamenti dell’amministrazione Usa.
Gli altri produttori italiani, per i quali l’esportazione di semilavorati non è una scelta obbligata, dovranno cambiare strategia. Anche perché, oltre al capitolo dazi, da parte dell’amministrazione Usa c’è un’azione capillare di contrasto commerciale che prosegue da anni. «Abbiamo contato 195 nuovi provvedimenti di contrasto a politiche considerate, spesso in malafede, come aiuto di stato o sussidiarie - spiega Bregant -, il 200% in più rispetto all’amministrazione Obama. Una delle più recenti riguarda purtroppo alcuni dei nostri prodotti forgiati».
Il rischio è che sul mercato europeo si riversino i prodotti stranieri colpiti dalle sanzioni americane