L’esperimento di Auroville
Nel ’68, nel sud del Paese, è nata una città utopica che accoglie tremila residenti di 50 Paesi (Italia inclusa) con case, campi e acqua (riciclata). Per la mente c’è la sfera del Matrimandir
Nella mostra fotografica che illustra i princìpi e la storia di Auroville c’è un’inquadratura da 2001:
Odissea nello spazio. È una scelta significativa, come la coincidenza fra le date di nascita dei due fenomeni: 1968, l’anno in cui il film di Kubrick uscì nelle sale e fu avviato il progetto di questa città utopica, alle porte di Pondicherry, nello stato indiano del Tamil Nadu.
Il 28 febbraio di quell’anno, inviati di 124 nazioni e di tutti i venti stati indiani si riunirono su una piana rossastra, brulla e desolata, portando ciascuno un po’ di terra del loro Paese per versarla in un’urna comune. Era l’atto di nascita di Auroville, una città che, recita la sua costituzione, «non appartiene a nessuno in particolare ma all’umanità intera»; che, a parte l’ovvia aderenza alle leggi indiane, non obbedisce a nessuna autorità, non ammette la proprietà privata e ricompensa ciascuno, quale che sia il suo contributo, nella stessa misura. Una città che ha piantato migliaia di alberi su quella piana desolata, trasformandola in una foresta, e accoglie oggi tremila residenti di una cinquantina di nazioni (inclusa un’ampia comunità di italiani), che possono «comprare» una casa ma solo per averne l’usufrutto, e possono lasciarla ai figli solo se anch’essi diventano aurovilliani. Una città che coltiva i suoi campi, ricicla la sua acqua (guai a gettare carta igienica nello scarico!), educa i suoi giovani, svolge le sue attività culturali e assiste decine di altri villaggi locali nel tentativo di affrancarsi dal degrado e dalla povertà endemici nel territorio.
Il nome «Auroville» è una sintesi delle due menti che l’hanno ideata, «una sola anima in due corpi», come dicevano. Lui era Sri Aurobindo, nato nel 1872 a Calcutta, educato a Cambridge e, tornato in India nel 1893, fervente patriota, fautore dell’indipendenza indiana e perseguitato dalla polizia e dalle spie inglesi. In fuga dall’arresto e un probabile confino alle isole Andamane, nel 1910 si era rifugiato a Pondicherry, dove aveva intrapreso un percorso mistico e si era ritirato dal mondo: negli anni successivi, avrebbe rifiutato visite di Gandhi e Nehru e avrebbe concesso a Tagore solo una visita muta.
Intanto, però, il 29 marzo 1914 avrebbe incontrato lei, l’altra mezza mela, l’altro corpo depositario della stessa anima: Mirra Alfassa, ebrea di origine turco-egiziana nata a Parigi nel 1878, al suo secondo matrimonio e inesauribile ispiratrice di movimenti spirituali e artistici. Il mondo era a un palmo dall’abisso della Grande guerra, ma quei due ebbero presto altri piani. Nel suo poema epico Savitri, Aurobindo descrisse il loro rapporto dicendo: «Attratti come una stella dall’altra in cielo, stupirono l’uno dell’altra e gioirono, e intrecciarono la loro affinità in uno sguardo silenzioso. Passò un momento che era un raggio d’eternità, iniziò un’ora, la matrice di un nuovo Tempo».
In questo nuovo tempo Aurobindo lasciò ogni responsabilità nelle mani di Mirra, ribattezzata la Madre. Fu un’unione felice: tanto lui era intento a vivere nella sua stanzetta, studiando, meditando e scrivendo, tanto lei era un vulcano di iniziative, che invece di rimandare la salvezza a un altro mondo volevano costruire un mondo migliore, qui e ora. Auroville, una mescolanza dell’Auro di lui e della Ville del francese di lei, fu concepita già negli anni Trenta e nel 1968 scese sulla terra. La Madre era novantenne: sarebbe morta cinque anni dopo. (Aurobindo si era spento nel 1950.)
Intendiamoci: non è un paradiso terrestre. Per le strade si circola in sicurezza (sia pur respirando il gas di scappamento delle innumerevoli motorette) e si può lasciare la porta di casa aperta, ma solo perché tanta tranquillità è salvaguardata da cancelli e guardie, che danno al tutto l’atmosfera un po’ artificiosa di una
gated community, al riparo dall’India che incalza e preme là fuori. La tessera Aurocard che siete praticamente costretti a comprare e usare invece del denaro ricorda quelle dei villaggi vacanze o (orrore!) di Disneyland. E la gemma più preziosa della città, una gigantesca sfera laminata d’oro denominata Matrimandir e destinata alla concentrazione, ha avuto la sfortuna (immeritata, visto il lavoro speso dagli aurovilliani per costruirla, senza nessun ausilio esterno) di risultare simile a un cioccolatino oppure (nonostante l’oro) a un’astronave di cartapesta dei film di fantascienza degli anni Cinquanta. Quanto alla «filosofia» corrente, è un pasticcio pseudo-evoluzionistico di quelli che andavano di moda all’inizio del secolo scorso: l’evoluzione del corpo è terminata, e anche quella della mente; ora deve evolversi l’anima, o la supermente. (Lo sapevate che Herbert Spencer, che diffondeva un pasticcio analogo, fu il primo filosofo a vendere in vita un milione di copie dei suoi libri?)
Queste, però, sono inezie. Pensiamo a tutto quel che successe nel 1968. La protesta giovanile e studentesca, gli assassini di Bob Kennedy e Martin Luther King, i massacri di My Lai e Città del Messico, il pugno alzato di Tommie «Jet» Smith e John Carlos, la primavera di Praga. Fu un anno di grandi tragedie e grandi sogni, anzi di grandi sogni interrotti da grandi tragedie, oppure finiti nell’anonimato. Come quello incarnato da Hal, il computer nevrotico di 2001, dove peraltro si manifesta una nuova forma di coscienza. O quello in cui ho trascorso la mia vita professionale: l’Università di California a Irvine è quasi coetanea di Auroville e fu fondata con ottimi princìpi. Niente sport organizzati, niente facoltà di Pedagogia ma un insegnante-pedagogo in ogni dipartimento, introduzione multidisciplinare alle scienze umane per tutti gli studenti, poeti e artisti che fanno carriera accademica in base al loro lavoro creativo.
Oggi Irvine si fregia dei suoi 28 titoli sportivi conquistati e il resto dei suoi princìpi non ha avuto sorte migliore. A dispetto di Spencer e Aurobindo, l’evoluzione procede a caso, senza seguire un percorso provvidenziale. Proprio per questo motivo, però, tanto di cappello ad Auroville, che in cinquant’anni i suoi princìpi li ha mantenuti.