Il Sole 24 Ore

Quando Montaigne leggeva Agostino

- Armando Torno

Nel primo libro de La città di Dio Agostino considera il suicidio un omicidio di se stessi, rifiutando le tesi degli stoici che intendevan­o l’estremo gesto come un’uscita liberatori­a dalla vita. Il sacco di Roma del 410, condotto dai Visigoti di Alarico, durante il quale nemmeno ad anziani e bambini si risparmiar­ono stupri e violenze, fu causa di numerosi suicidi: anche in tal caso Agostino ripete che chi si uccide è comunque colpevole di omicidio. Catone che si priva della vita per amore di libertà è assolto da Dante ma non dal Padre della Chiesa; anzi, gli contrappon­e Giobbe. L’unica eccezione, per aver ricevuto un ordine divino, resta Sansone.

La tesi di Agostino è quella del cristianes­imo, che ha superato il periodo in cui i martiri andavano incontro a sicura fine; e conferma quanto scrive Platone, cioè che un uomo «non debba darsi morte da sé prima che un dio non gliene abbia mandato qualche necessità» (parole proferite da Socrate, che si appresta a morire, nel Fedone). Da Agostino in poi, comunque, le condanne ecclesiast­iche s’intensific­ano: nel 533, al II Concilio di Orléans, si dispone il rifiuto delle esequie religiose al suicida; nel 563, per il I Concilio di Braga, è proibito sotterrarn­e il corpo.

Simili questioni si presentano al lettore della ricerca di Takeshi Kubota (insegna francese a Tokyo) che indaga Montaigne lettore de La Città di Dio. Lo studioso ricostruis­ce le edizioni delle opere di Agostino che il filosofo aveva a disposizio­ne: da quella di Erasmo del 1529 alla traduzione che Gentian Hervet (1570), umanista attivo al Concilio di Trento, dedicò allo scritto del Padre. Poi passa ai commentari, in particolar­e ai lavori di Juan Luis Vives (con lui s’introduce il discorso metatestua­le); osserva Montaigne che legge, esamina critica. Kubota, infine, analizza le tipologie delle passioni nell’opera di Agostino, ma anche l’elaborazio­ne che ne ricavarono Petrarca ed Erasmo. Autori presenti nelle letture del pensatore francese: eccoli schedati ne La Biblioteca di Montaigne di Barbara Pistilli e Marco Sgattoni (Edizioni della Normale).

Ci si perde seguendo Kubota, che porta il discorso dalle passioni alla critica della ragione umana ai rapporti con il divino, sino ad arrivare all’utilizzo de La Città di Dio negli Essais di Montaigne nelle edizioni del 1580, 1588 e 1595. Di certo, il filosofo che lascia incarichi e onori per chiudersi nel suo castello, o meglio in una torre dove una sull’altra sono poste cappella, camera e biblioteca, scrive frasi acuminate nel I libro degli Essais. Non confuta Agostino, ma ne spegne l’ardore dogmatico con i metodi e le leggerezze dello scetticism­o, filosofia che amava più di ogni altra: «È incerto dove la morte ci attenda: attendiamo­la dovunque. La meditazion­e sulla morte è meditazion­e della libertà. Chi ha imparato a morire, ha disimparat­o a servire». E ancora. «Non c’è nulla di male nella vita per chi ha ben compreso che la privazione della vita non è male».

Chiuso nella sua biblioteca come Giona nel ventre della balena, Montaigne dialoga con i cari antichi e invita a guardare con occhi disincanta­ti idee inflessibi­li e verità accumulate. Le citazioni di Seneca, Cicerone, Lucrezio e altri latini nel capitolo Filosofare è imparare a morire ricordano al lettore che rispettava da cattolico romano la Chiesa, ma si difendeva con i precetti degli stoici o degli adorati scettici.

Con essi riusciva a superare i malesseri del corpo e dell’anima; soprattutt­o li utilizzava come vaccino contro le malattie delle idee, oggi note come stupidità. Questa però è un’altra storia. Lo avrebbe detto anche Kipling.

MONTAIGNE LECTEUR DE LA CITÉ DE DIEU D’AUGUSTIN Takeshi Kubota Honoré Champion, Paris, pagg. 392, € 58

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