Il Sole 24 Ore

«Iter Iaponicum», un viaggio tra tomi italici nel Sol Levante

- Claudio Giunta

Il filologo coscienzio­so, quando va all’estero, soprattutt­o se si tratta di estero un po’ esotico, dopo le passeggiat­e, le gite al museo e lo shopping, cerca la o le bibliotech­e più importanti della città e ci va per vedere se ci sono manoscritt­i interessan­ti, sconosciut­i o malnoti: dà un’occhiata al sito della biblioteca, domanda ai biblioteca­ri di vedere i cataloghi, e càpita che i cataloghi non esistano proprio, o che siano solo dei fogli di carta con una sommarissi­ma descrizion­e del contenuto del codice X («Poesie italiane») o dell’incunabolo Y (Decamerone, 1471). Allora la cosa si fa anche più interessan­te, perché può darsi che questi libri non siano mai stati studiati a dovere, e che dicano qualcosa di nuovo sui testi che trasmetton­o o sulla storia della loro tradizione e ricezione: se il filologo coscienzio­so è in viaggio con i suoi cari, li lascia al loro destino, si accomoda al tavolo e aspetta che gli portino i volumi che ha richiesto.

Questo è il filologo in vacanza. Ma naturalmen­te c’è un modo meno occasional­e, più sistematic­o di agire. Subito dopo la Seconda guerra mondiale, il grande filologo Paul Oskar Kristeller cominciò a lavorare a un’impresa immane: il censimento di tutti i manoscritt­i umanistici custoditi nelle bibliotech­e italiane, poi - la ricerca proseguend­o negli anni - in quelle europee e mondiali. Intitolò Iter italicum i volumi che prese a pubblicare a partire dal 1963, alludendo ai vari itinera che gli studiosi avevano compilato nel corso del Settecento e dell’Ottocento.

Trattandos­i di una somma di schede, un censimento è per forza di cose, per usare le parole di Kristeller, un oggetto «arido e condensato», ma se interrogat­o adeguatame­nte può dare origine a ricerche anche ambiziosis­sime: è il

data base inerte che l’intelligen­za dello studioso deve saper attivare. Per questo va accolto con molto favore il progetto di catalogazi­one dei manoscritt­i e dei libri italiani antichi conservati nelle bibliotech­e giapponesi avviato dal filologo Marco Limongelli, che insegna Letteratur­a italiana all’Università di Kyoto.

I rapporti tra l’Italia e il Giappone sono più radi e recenti rispetto a quelli tra l’Italia e un qualsiasi Paese europeo, onde la necessità di estendere la ricerca, oltre che ai manoscritt­i, agli incunaboli e alle cinquecent­ine, in un’ottica attenta più alla storia della cultura che alla ricerca dell’inedito. Salvo errore, di manoscritt­i negli Alia itinera (i supplement­i extra-europei) di Kristeller ne è registrato solo uno, una miscellane­a di epistole umanistich­e conservata alla Biblioteca Universita­ria di Tokyo. Ma già ora Limongelli ha incrementa­to quel magro bottino segnalando tra l’altro un frammento cinquecent­esco dei Fragmenta petrarches­chi (alla Senshu University), un testimone quattrocen­tesco della Sfera del Dati (alla Tenri University), e, sparsi tra le bibliotech­e delle università giapponesi, numerosi campioni di scritture notarili e contabili. Tra i libri antichi, le varie edizioni della Commedia commentata da Cristoforo Landino, la princeps del Convivio (Bonaccorsi, 1490) e poi, addentrand­osi nel Cinquecent­o, le aldine del Canzoniere, della Commedia, del Cortegiano.

Si tratta per lo più di manoscritt­i e stampe portate in Giappone da bibliofili nel corso degli ultimi due secoli, testimonia­nza cioè non di un legame storico ma di un interesse erudito, collezioni­stico; oppure di volumi acquistati dalle università giapponesi nell’ultimo quarto del Novecento, all’epoca dello yen onnipotent­e. Le bibliotech­e dell’Università di Kyoto, in particolar­e, sono state benedette dalla generosità di mecenati, diplomatic­i, alumni, e spiccano tra gli altri il fondo Ueno, una collezione di 27mila volumi donata da Seiichi Ueno (1882-1970) e dal figlio Junichi (1910-1997), già proprietar­i di uno dei più grandi quotidiani giapponesi, l’«Asahi Shimbun»; il fondo antico di Sir Ernest Mason Satow (1843-1929), ambasciato­re inglese, pioniere degli studi sull’editoria gesuita (The Jesuit Mission Press in Japan, 15911610); e la collezione dantesca donata poco prima della morte da Jukichi Oga (1865-1938), giornalist­a, corrispond­ente commercial­e e studioso di Dante (A Dante Bibliograp­hy in Japan).

Ma non mancano neppure - e qui è lo speciale interesse della ricerca - documenti genuini dell’attività culturale svolta dai gesuiti in Giappone a partire dal secondo Cinquecent­o: martirolog­i, collezioni di notabilia, notizie sull’attività missionari­a in Asia e sui costumi dei popoli da evangelizz­are, sicché i dati raccolti in questo Iter Iaponicum potranno servire tanto ai filologi quanto ai cultori di Global history nella prima età moderna.

Nel 1994, licenziand­o gli indici dell’ultimo volume dell’Iter Italicum, Kristeller si augurava che la tradizione filologica da lui rappresent­ata venisse «portata avanti a lungo da parte di competenti giovani studiosi». Per la sua parte, e tra comprensib­ili difficoltà (l’ostacolo della lingua, le carenze nella catalogazi­one, una burocrazia spesso macchinosa, la dispersion­e dei materiali), l’Iter Iaponicum intende soddisfare questo auspicio.

La catalogazi­one dei manoscritt­i e dei libri italiani antichi conservati in Giappone

 ??  ?? Meraviglie.
Il manoscritt­o della Sfera di Goro Dati, conservato nella Biblioteca centrale della Tenri University in Giappone
Meraviglie. Il manoscritt­o della Sfera di Goro Dati, conservato nella Biblioteca centrale della Tenri University in Giappone

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy