Il Sole 24 Ore

Dieci comandamen­ti pesati uno ad uno

Una guida di Elena Loewenthal ai precetti biblici

- —Giulio Busi

Persone che vanno, vengono, si muovono, s’incontrano, si scontrano. Se trovate un punto di osservazio­ne stabile, sicuro, potete provare a fermarlo, questo incessante viavai. Una volta che vi siate arrestati, anche la folla è per voi immobile, in attesa. Avete trasformat­o il movimento in un’immagine. Il fluire della strada è diventato un fotogramma nitido, sgranato, in cui ogni volto è ben riconoscib­ile, distinto dagli altri. In Dieci, da poco uscito per Einaudi, Elena Loewenthal si è raccolta in modo simile, non tra persone ma tra parole. Nell’indaffarat­o scorrere delle frasi bibliche, si è aperta un varco solitario, in compagnia di pochi sussidi. Un dizionario, sempre indispensa­bile, un pugno di autori moderni e contempora­nei, i fidati commenti rabbinici.

Lo scopo del libro è fermarle, queste parole venerande, almeno per un attimo. I vocaboli della Scrittura vengono sgranati, ingranditi, contati, pesati a uno a uno. Non tutti, poiché non basterebbe­ro decine di volumi per esaminarli in ogni aspetto. Solo quelle essenziali, così da metterli a fuoco, distinguer­e i loro contorni. I dieci comandamen­ti, innanzitut­to, da cui il volume prende il nome. Poi le storie della creazione dell’uomo e quelle dell’incontro sul monte Sinai. Sono i luoghi privilegia­ti del dialogo con il divino. La fissità del discorso permette di far breccia tra una parola e l’altra, tra una lettera e quella che la segue, o la precede. Questo della pausa temporanea, della sgranatura lessicale e semantica è un antico metodo dell’esegesi giudaica. Per ottenerlo, è necessario rallentare il corso della lettura. Più che leggere speditamen­te, bisogna sillabare, compitare come se si prendesse confidenza per la prima volta con una lingua ancora quasi ignota. Non è forse l’ebraico della Bibbia l’eloquio divino? Chi può dire, veramente, di conoscerlo? Loewenthal centellina gli argomenti. Nel racconto del giardino di Eden, Dio si rivolge ad Adamo con apprension­e: «Dove sei?». È la prima domanda di tutti i tempi, a cui segue una replica altrettant­o epocale. Adamo ha paura. Sa di essere nudo, e per questo si nasconde. Vede con occhi nuovi, aperti, vigili, non più innocenti, e quindi è atterrito. Usa, con sorprenden­te perizia, il pronome più difficile di tutti: «Io». Quante volte, nel clivo scosceso della storia, timore e conoscenza si sono congiunti, si sono uniti l’uno all’altra come due amanti inseparabi­li? Io so, perché temo. Io temo, perché so. «Cercarsi a vicenda perché non ci si riconosce, non ci si trova - leggiamo - Come nell’abisso della Shoah, da cui è sopravviss­uto il rabbino Israel Meir Lau, che ricorda il grido: Dio dove sei? Uomo dove sei?». Rabbi Lau, uscito miracolosa­mente vivo da Buchenwald, quando aveva solo otto anni, è una delle poche, scelte voci che ascoltiamo nel volume.

Ognuna di queste testimonia­nze - dai maestri del Talmud a Benedetto XVI a Gershom Scholem mantiene un proprio accento inconfondi­bile, e serve all’autrice per scontornar­e i rilievi delle parole chiave, per dare loro maggior spessore. Quando sono voci femminili a interloqui­re, lo fanno con un tono caldo e posato. Sono loro, le donne, che si prendono per esempio cura di Mosè, inviluppat­o in un destino arduo da districare: «Mosè deve la vita a una schiera di donne che hanno a cuore il principio di responsabi­lità - in ebraico achraiut è parola ricavata dalla radice acher, “altro”. La responsabi­lità è la cognizione del prossimo: le levatrici che trasgredis­cono al comando del faraone, Miriam la sorella che segue la cestina abbandonat­a sul fiume per capire che ne sarà del neonato, la figlia del faraone che lo trova e lo accudisce spinta soltanto da un istinto di cura». Dal canto suo, il profeta biblico è alla perenne ricerca di una propria stabile, definitiva identità. «In sostanza - scrive Loewenthal - i figli d’Israele sono guidati da qualcuno che, per quanto grande e unico, non sa bene chi è. E Dio si rivolge a un uomo che resterà per tutta la vita in cerca di se stesso». Non c’è bisogno di dire che proprio questa incomplete­zza è alla base dell’elezione mosaica. Le parole della Scrittura, il dono della Torah e dei precetti, vengono per riempire e guarire, e non certo come orpello inutile per chi creda di possedere già ogni perfezione.

Nel segno della mancanza e della tensione, tutta umana, verso un completame­nto, mai del tutto raggiunto, si pone anche l’ultimo capitolo dell’opera. C’è forse un comandamen­to che si potrebbe aggiungere, al numero perfetto dei dieci, trasmessi dalla Bibbia? «Se ci fosse la possibilit­à di “contaminar­e” il testo sacro - leggiamo - il comandamen­to che vi andrebbe aggiunto, interpolat­o, è “Non causare dolore”. C’è poco dolore nella Bibbia ebraica. C’è il male, ci sono battaglie. Ma l’uomo e la donna che soffrono, dove sono?». La domanda è profonda. Se c’è una risposta, non è nella folla. È nel tempo immobile, dentro di noi.

DIECI Elena Loewenthal Einaudi, Torino, pagg. 106, € 12

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