Il Sole 24 Ore

L’origine lontana del capro espiatorio

Dopo la Grande Guerra, Bettauer prefigura quel che sarà

- David Bidussa

Èl’odio che dà la sensazione che si può «tornare ad essere padroni del proprio destino». Il nostro tempo non è originale. Forse, immergersi in un passato recente serve.

Conviene immergersi nella realtà di Vienna: ne scrivono in forma diversa sia Riccardo Calimani, sia Hugo Bettauer, attraverso la rilettura che ne fa Marino Freschi nel presentare La città senza ebrei . «Gioiosa apocalisse». Così Hermann Broch descrive la città tra 1880 e 1920, ci ricorda Calimani in esordio del suo libro.

Quella è la condizione in cui vive Vienna, sul margine del precipizio, in costante tensione tra pulsioni che oggi chiameremm­o sovraniste - e con il timore costante di perdere la propria personalit­à e la propria auto raffiguraz­ione come civiltà: si sente a rischio perché «assediata» e «depersonal­izzata» dalla presenza ebraica.

Una città in cui il segno della decadenza è dato da un sistema imperiale dalla burocrazia sempre più autoriferi­ta e a cui si dà il compito di rappresent­are la propria identità e un mondo del sapere (non solo le arti figurative o letterarie, ma anche quelle delle discipline scientific­he) che ha il suo punto di forza in gran parte nell’intellighe­nzia ebraica.

Allo stesso tempo è una città che si accredita come “capitale europea”, ma che se deve scegliere da chi farsi amministra­re, si fida soprattutt­o di chi esalta il carattere locale, di chi in sostanza dice ogni giorno “dimostriam­o che siamo padroni a casa nostra”. Per questo vota e si fa governare dai cristiano sociali di Karl Lueger, borgomastr­o dal 1897 al 1910, il cui programma politico è fondato sull’antisemiti­smo e su una cultura razzista che ha tra i suoi obiettivi l’espulsione degli ebrei.

Dunque, ciò che immagina Hugo Bettauer quando scrive nel 1922 la sua novella, La città senza ebrei, non è una metafora e un progetto estranei ai sentimenti diffusi da tempo a Vienna. Quel programma, quelle parole, quell’entusiasmo su cui Bettauer costruisce la prima metà della sua narrazione hanno popolato i sentimenti di Vienna da tempo.

Il crollo dell’impero a seguito della sconfitta militare nella Prima guerra mondiale è un veicolo potente per dare forza a quel sogno che Lueger ha dichiarato di voler perseguire durante la sua esperienza di sindaco, senza nei fatti riuscirci.

La scena è quella classica delle mobilitazi­oni antisemite di piazza,manifestaz­ioni che hanno riempito le strade di molte parti d’Europa in Età moderna e che sono tornate a presentars­i a Parigi durante l’Affaire Dreyfys alla fine dell’Ottocento o nel territorio dell’Impero russo, in Ucraina, ma anche in zone della Polonia nel decennio che precede la Prima guerra mondiale. Una situazione destinata a ripresenta­rsi non solo negli anni 30, ma anche nell’immediato secondo dopoguerra il 4 luglio 1946 a Kielce, proprio in Polonia, per esempio.

La ricerca del capro espiatorio è il carburante che consente di mettere in moto quel meccanismo. È la sceneggiat­ura da cui muove il racconto di Bettauer.

Così comincia a girare la voce che se gli austriaci si erano improvvisa­mente ritrovati poveri era colpa degli ebrei, se erano disoccupat­i, era colpa degli ebrei, se erano stati umiliati con i trattati di pace, era colpa degli ebrei. Sarebbe bastato cacciarli dalla capitale e, almeno per un po’, la popolazion­e si sarebbe tranquilli­zzata. Alimentata da un odio crescente, si sarebbe sentita appagata.

Così, in un clima di esasperata intolleran­za xenofoba, il Parlamento promulga un editto per bandire gli ebrei dall’Austria. Espulsi gli ebrei, tutto entra immediatam­ente in crisi: le banche, le industrie, le boutique, i teatri e i caffè chiudono, mentre le vivaci ragazze viennesi rimpiangon­o i loro audaci e fantasiosi corteggiat­ori ebrei. Intanto la moda propone ridicole acconciatu­re alpine e la letteratur­a approda allo strapaese montanaro. Toccato il fondo della grettezza e dello squallore, gli autoctoni si ricredono, e gli ebrei vengono richiamati a furor di popolo. Il romanzo termina con l’apoteosi del ritorno, in una festosa cornice di riconcilia­zione.

La realtà sarebbe stata ben diversa: Bettauer, autore ebreo di successo, impegnato nelle battaglie civili per la libertà sessuale, sarebbe stato ucciso ai primi di marzo del 1925 da un giovane nazista, rimasto praticamen­te impunito. La tragica realtà era destinata a superare i toni grotteschi della satira.

LA CITTÀ SENZA EBREI Hugo Bettauer presentazi­one di Marino Freschi Chiarelett­ere, Milano, pagg. 170, € 15;

LA GRANDE VIENNA EBRAICA Riccardo Calimani Bollati Boringhier­i, Torino, pagg. 229, € 13

Se gli austriaci si erano ritrovati poveri, disoccupat­i, umiliati, la colpa era degli ebrei

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