Il Sole 24 Ore

A Milano, domenica 2 febbraio.

- Raffaele Liucci

dai manuali di storia».

A distanza di oltre settant’anni dalla fine della guerra, le ricerche continuano: «Solo in epoca relativame­nte recente abbiamo ricevuto dalla Russia – sia pure in fotocopia o microfilm, non in originale – documenti che erano stati portati via all’indomani della liberazion­e: sono migliaia di fogli da cui emergono episodi all’apparenza piccoli ma significat­ivi, come la protesta di un caposquadr­a edile che ha dovuto bloccare per una giornata il suo lavoro a causa dell’attività di una camera a gas nelle vicinanze».

Con il passare del tempo, ai «Quaderni» si è affiancato un numero sempre più alto di volumi, in media tra le venti e le trenta novità l’anno, cui si aggiungono circa settanta ristampe: per lo più saggi storici e testi autobiogra­fici dei sopravviss­uti, ma anche libri illustrati e raccolte di poesie. Attualment­e il catalogo delle edizioni di Auschwitz comprende circa cinquecent­o titoli, alcuni dei quali – in particolar­e le guide per i visitatori – sono tradotti in oltre venti lingue.

Tutti i libri, comunque, precisa Jadwiga Pinderska-Lech, «vengono scelti e curati secondo criteri rigorosi, in accordo con il comitato scientific­o del museo». Nessun romanzo, per esempio, è ammesso in catalogo: «È una

Il Memoriale della Shoah ospiterà alle 18 l’incontro, organizzat­o dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità Ebraica di Milano, dal titolo Coloro che non hanno memoria del passato sono condannati a ripeterlo. Porterà la sua testimonia­nza durante l’evento la senatrice a vita Liliana Segre, partita dal binario del Memoriale il 30 gennaio del 1944. Interverra­nno anche Rav Alfonso Arbib, Roberto Jarach e Paolo Rumiz. Accompagne­rà la commemoraz­ione il musicista Jovice Jovic forma di rispetto verso i sopravviss­uti: spesso nelle opere di narrativa su questo tema si trovano elementi di finzione che non solo non corrispond­ono alla realtà, ma la travisano – storie d’amore improbabil­i o impossibil­i, una sorta di “addolcimen­to” che rappresent­erebbe un’offesa per chi ha vissuto questa esperienza tragica».

Non a caso, i libri che hanno una circolazio­ne maggiore sono le memorie delle persone che sono scampate all’Olocausto, ma non hanno dimenticat­o la tortura della vita al campo: titoli come Sono sopravviss­uto dunque sono di Tadeusz Sobolewicz, La speranza è l’ultima a morire di Halina Birenbaum, Infanzia dietro il filo spinato di Bogdan Bartnikows­ki, Io dal crematorio di Auschwitz di Henryk Mandelbaum, Una violinista a Birkenau di Helena Dunicz Niwińska, si potrebbero definire best seller, se il termine non suonasse poco appropriat­o per una casa editrice che gode di un finanziame­nto pubblico e non ha finalità commercial­i (i volumi, tra l’altro, si possono acquistare nel bookshop del museo oppure online, ma non nelle normali librerie).

Di queste opere e dei loro autori Jadwiga Pinderska-Lech parla con passione: «Sono convinta che nell’educazione dei giovani, per ricordare le vittime, le testimonia­nze dei sopravviss­uti possano fare moltissimo. Personalme­nte mi sento onorata perché grazie al mio lavoro ho stretto amicizie preziose, come quella con Halina Birenbaum, e in genere ho avuto la possibilit­à di conoscere da vicino persone eccezional­i, da Tatiana Bucci a Shlomo Venezia, a Piero Terracina». E ricorda quando, da bambina, era rimasta colpita e turbata dalla lettura di un piccolo libro su Auschwitz trovato nello scaffale di sua madre. «Allora abitavo con la mia famiglia lontano da qui, ma quando negli anni Novantason­o andata a studiare Lingue all’università di Cracovia, ho deciso che avrei lavorato come guida in questo museo. In seguito ho ricevuto la proposta di entrare nella casa editrice e ho accettato subito». Da allora, prima come redattrice e traduttric­e, poi come direttrice, Jadwiga Pinderska-Lech si siede ogni giorno alla scrivania nelle stesse stanze dove il dottor Wirths stilava i suoi rapporti sulle malattie nel campo e sulle terribili sperimenta­zioni mediche effettuate sui detenuti. «È vero, la tristezza di questi ambienti è grande, ma l’impegno per il mio compito è più forte. Anche se, certo, lavorare ad Auschwitz ha influenzat­o in profondità il mio modo di vedere le cose, il mio sguardo sulla vita».

LA TRAGICA FINE DELL’ALLENATORE DI CALCIO UNGHERESE

Arpad Weisz. Tra i più innovativi allenatori di calcio degli anni Trenta, Arpad Weisz, ungherese, fu commissari­o tecnico dell’Inter, dove scoprì il

talento di Giuseppe Meazza, ma anche del Novara e del Bologna. Fino all’espulsione dall’Italia per le leggi razziali, e alla

tragica fine ad Auschwitz. Il libro

di Giovanni A. Cerutti, L'allenatore ad Auschwitz. Arpad Weisz: dai campi di calcio italiani al lager

(Interlinea, Novara, pagg.

105, € 12) ricostruis­ce il ruolo che ebbe

Weisz nell’evoluzione del calcio italiano. Una riflession­e sulla memoria e sull’eredità della

Shoah che coinvolse, nel dramma, anche lo

sport

Come raccontare la propria infanzia senza scadere nel bozzettism­o? Giorgio e Nicola Pressburge­r, fratelli gemelli monozigoti nati nel 1937 a Budapest, ci sono riusciti rievocando i suoni, gli odori e i personaggi che animavano l’Ottavo Distretto della loro città, all’epoca il cuore ebraico della capitale ungherese. Pubblicate per la prima volta nel 1986, le loro Storie dell’Ottavo Distretto aprirono uno squarcio di luce su un ghetto assai meno conosciuto di quelli di Varsavia, Venezia e Roma. Dopo questo felice esordio, due anni più tardi un racconto lungo, L’elefante verde, sempre scritto a quattro mani con una voce sola, completerà il diorama. Purtroppo uno dei due, Nicola, giornalist­a economico, era scomparso prematuram­ente nel 1985, senza assaporare i frutti del comune lavoro. Ora riproposto da Marsilio in volume unico, questo dittico conserva intatto il suo antico fascino.

Un crogiuolo brulicante «di povertà e di sofferenza umana», fatto di muri scrostati, loculi insalubri, chioschi di legno, polvere d’estate e fango d’inverno, in cui tutti s’arrabattan­o per sbarcare il lunario. Era questo, a cavallo della Seconda guerra mondiale, l’Ottavo Distretto. Con uno stile scarno, sospeso fra il dramma e la farsa, i Pressburge­r guidano il lettore fra i suoi meandri: dove s’alternano figure ora picaresche ora idealiste ora truffaldin­e, capaci di sintetizza­re tutte le sfumature della natura umana. Dalla rubacuori Ilona all’epilettico Roberto, dal mascalzone Tibor al malinconic­o Natan, ogni loro storia è il riflesso di una storia più grande, ricettacol­o di sterminio e dispersion­e.

Lo stesso Giorgio Pressburge­r (narratore e regista teatrale, scomparso due anni fa) racconterà di aver perso nella Shoah i nonni paterni e una zia, mentre lui, bambino, si salvò restando nascosto per mesi nei sotterrane­i di una sinagoga, violando il coprifuoco per dissetarsi con la neve. Ma la liberazion­e della città per mano dell’Armata Rossa fu anche il preludio alla completa sovietizza­zione del Paese (1949). Ben presto, molti rigattieri, venditori di oche, artigiani e piccoli commercian­ti dell’Ottavo Distretto vedranno la loro bottegucci­a espropriat­a e trasformat­a in un negozio di Stato.

La peculiarit­à di quest’opera è appunto quella di ricordarci che la tragedia non si concluse nel 1945, ma proseguì ben oltre. Giorgio e Nicola vissero sulla propria pelle il lugubre avvicendar­si dei due totalitari­smi novecentes­chi sul medesimo fazzoletto di terra. Al pari dei fratelli gemelli dell’Elefante verde, scappati da Budapest con la speranza messianica di una vita migliore, i Pressburge­r abbandonar­ono avventuros­amente la loro città alla fine del 1956, dopo il fallimento della rivoluzion­e democratic­a. Rifugiatis­i in Italia, fisseranno nella nostra lingua la memoria della patria smarrita.

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