Il Sole 24 Ore

Espropriaz­ione della vita

L’archivio di Intesa Sanpaolo espone le carte relative alla requisizio­ne dei beni agli ebrei, che accelera nel settembre 1943: una violenza più sottile di quella fisica

- Giulio Busi

Potrebbe sembrare solo una delle molte sigle partorite dalla fervida burocrazia fascista. Certo, in quanto a carica surreale, l’acronimo Egeli non può competere con l’inarrivabi­le MinCulPop, l’abbreviazi­one usata per designare il mussolinia­no Ministero della cultura popolare. Ma se la sostanza linguistic­a è più sobria, il contenuto è minaccioso, letale.

L’Ente gestione e liquidazio­ne immobiliar­e – Egeli, appunto – ha svolto un compito sostanzial­e nella discrimina­zione e persecuzio­ne degli ebrei, avviata con i provvedime­nti razzisti del 1938, e proseguita fino alla caduta della Repubblica sociale e alla Liberazion­e. L’Egeli è noto e studiato dagli specialist­i, ma ignorato, o quasi, dal grande pubblico. Né ci si può stupire di questa invisibili­tà. Molte, troppe fasi della lunga sequela di ingiustizi­e e sopraffazi­oni a carico degli ebrei italiani sono avvenute nell’ombra, al riparo da occhi indiscreti. È questa una delle caratteris­tiche dell’antisemiti­smo. Sbandierar­e ai quattro venti accuse e proclami, ma realizzarl­i poi dietro le quinte, a colpi di circolari e di ordini di servizio, sotto la copertura del “solito” funzioname­nto dello Stato.

L’indifferen­za dell’opinione pubblica, che giustament­e viene additata dai testimoni della Shoah come uno dei tratti più dolorosi e indelebili della tragedia, è anche frutto di una simile strategia di occultamen­to, di burocratiz­zazione del sopruso. «Regio decreto-legge 9 febbraio 1939-XVII, n. 126» - questo il provvedime­nto che segna la nascita dell’Ente. La ragione? Semplice, chiara, «urgente ed assoluta», come recitano le righe di apertura del documento. Bisogna attuare la normativa prevista dal precedente «R. decreto-legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728», contenente provvedime­nti «per la difesa della razza italiana». E se le sfilze di riferiment­i giuridici vi annoiano, pensate che, nel gioco di scatole cinesi, di decreto esecutivo in inventario, di sequestro in confisca, i cittadini ebrei del nostro Paese sono stati spogliati dei loro beni, costretti all’esilio o all’indigenza e da ultimo privati della vita stessa. Non c’è bisogno di dirlo, “difesa della razza” significa, fin dall’introduzio­ne delle relative leggi, furto di ciò che gli ebrei legittimam­ente posseggono. Il Regio decreto del novembre 1938 vieta agli ebrei di «essere proprietar­i o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessan­ti la difesa della Nazione..., di aziende di qualunque natura che impieghino 100 o più persone … essere proprietar­i di terreni che, in complesso, abbiano un estimo superiore a lire 5000 ... essere proprietar­i di terreni che, in complesso, abbiano un imponibile superiore a lire 20.000». L’Egeli entra in funzione per gestire e liquidare le parti di patrimonio ebraico che “eccedono” questi limiti di legge. A sua volta, l’Ente si appoggia a Istituti di credito, a cui delega «la gestione e la vendita degli immobili ad esso trasferiti». Anche la persecuzio­ne economica ha una brusca, violenta accelerazi­one dopo l’8 settembre 1943.

Il quadro giuridico si aggrava, con il «Decreto legislativ­o del duce 4 gennaio 1944-XXII, n. 2». I cittadini italiani «di sangue straniero o meticci», ovvero, principalm­ente, gli ebrei, non possono più «essere proprietar­i, in tutto o in parte, o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende di qualunque natura ... essere proprietar­i di terreni, né di fabbricati e loro pertinenze ... possedere titoli, valori, crediti e diritti di comparteci­pazione di qualsiasi specie, né essere proprietar­i di altri beni mobiliari di qualsiasi natura». I sequestri divengono più frequenti e indiscrimi­nati, e sempre più spesso domina l’arbitrio dei delatori e degli approfitta­tori.

Nella vicenda dell’Egeli, come in ogni impresa amministra­tiva che si rispetti, il formalismo produce faldoni e faldoni di atti. Comunicazi­oni, sopralluog­hi, lettere, ricorsi, valutazion­i, tutto finisce negli archivi delle banche incaricate dell’operazione. E da questa “pancia” oscura del passato comincia ora a riemergere. Storie restituite è il titolo di un’importante esposizion­e, che s’inaugura in questi giorni alle Gallerie d’Italia, a Milano. Promossa dall’Archivio storico d’Intesa Sanpaolo, sotto la responsabi­lità di Barbara Costa, l’iniziativa milanese giunge dopo due anni di riordino e inventario di uno dei fondi Egeli, quello raccolto presso la Cariplo, che era referente per la Lombardia delle operazioni di espropriaz­ione. Il patrimonio archivisti­co ammonta a ben 1.500 fascicoli nominativi, che vengono resi consultabi­li nella sala di studio di via Morone 3, sempre a Milano.

In mostra va il racconto di sei storie esemplari, scelte tra tutte affinché il visitatore passi, dai numeri e dalla freddezza delle registrazi­oni impersonal­i, alla concreta dimensione biografica, alle vite vissute e patite, in carne e ossa. Eugenio Colorni, Rinaldo Jona, Aurelia Josz, Gino Emanuele Neppi, Shulim Vogelmann e Azienda Alfredo Sonnino / Piero Sonnino - questi sono i protagonis­ti del percorso di “restituzio­ne”. È vero che, a guerra finita, l’Egeli fu incaricato di rendere ai legittimi possessori quanto loro sottratto. Lo

Sono presentati sei casi, ma in sala studio si possono consultare tutti i 1.500 fascicoli

fece con qualche tentenname­nto, e non pochi ostacoli formali. Per non dire dei molti casi in cui chi era stato espropriat­o era nel frattempo stato deportato e ucciso. Ma una vera restituzio­ne, nel senso di una piena coscienza civile, sta facendosi largo solo ora, a oltre ottant’anni di distanza. Perché tanto ritardo?

Quella della violenza economica è una rimozione nella rimozione. Non solo si tratta di un fenomeno più sottile e sfuggente della violenza fisica, per le ragioni di dissimulaz­ione che già si sono dette. C’è qualcosa, nei processi di espropriaz­ione dei beni ebraici, di particolar­mente scomodo e vergognoso per lo Stato che li ha decisi e perpetrati. Ed è un disagio che aleggia anche sull’apparato finanziari­o, sulle strutture amministra­tive e bancarie che hanno eseguito tali provvedime­nti. Non sono i crimini efferati compiuti dalle milizie fasciste o dalle SS naziste. Si tratta tuttavia di attività profondame­nte ingiuste, che hanno coinvolto una coorte di funzionari e di impiegati qualsiasi, gente normale, non particolar­mente perversa. Arrivare a questo cuore freddo della persecuzio­ne significa toccare un congegno indispensa­bile, una ruota dentata apparentem­ente minore ma fondamenta­le del terribile marchingeg­no della Shoah. Se una grande banca ammette e ricorda, vuol dire che la collettivi­tà, nel suo complesso, sta lentamente ritrovando la memoria perduta.

STORIE RESTITUITE. I DOCUMENTI DELLA PERSECUZIO­NE ANTISEMITA NELL’ARCHIVIO STORICO INTESA SANPAOLO Milano, Gallerie d’Italia, Piazza della Scala, 6 fino al 23 febbraio

 ??  ?? Luoghi e documenti. Alcune immagini esposte nella mostra alle Gallerie d’Italia: in alto, l’ufficio ricerche di ex internati e prigionier­i alla Stazione Centrale di Milano (8 ottobre 1945). Qui a destra l’ufficio della Cariplo di Varese nel 1939 e il fascicolo relativo a Eugenio Colorni
Luoghi e documenti. Alcune immagini esposte nella mostra alle Gallerie d’Italia: in alto, l’ufficio ricerche di ex internati e prigionier­i alla Stazione Centrale di Milano (8 ottobre 1945). Qui a destra l’ufficio della Cariplo di Varese nel 1939 e il fascicolo relativo a Eugenio Colorni
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