Il tocco di Debussy corporeo e malinconico
Chiunque conosca i libri di Dietrich Fischer Dieskau (Zehlendorf, giovedì 28 maggio 1925 – Berg bei Starnberg, venerdì 18 maggio 2012) avverte la loro strana diversità. Diversi da che cosa?
Da tutto ciò che abitualmente si aspetta un professionista o uno studioso o uno storico o un amante della musica da un libro che sia scritto da un musicista. Non soltanto si ha l’impressione che l’autore, musicus scriptor, si conceda escursioni da gran signore in aree sempre confinanti e comunicanti con il territorio tematico e centrale, possedendo mezzi veloci per allontanarsi e ritornare subito al centro, ma si è incuriositi da un possibile depistaggio, come se l’autore volesse accerchiarci con la propria rarissima sapienza e conoscenza intus et in cute dei gaudiosi misteri della musica, scienza e arte insieme. Poi ci si accorge che, lungo i percorsi ogni volta inventati ex novo da quell’artista e filosofo e anatomista della propria arte, l’irresistibile fascino che ogni pagina di Fischer-Dieskau esercita sul lettore spira verso di noi non da luminescenze esoteriche o da immersione sovreccitante nel suono “narrato”, nell’episodio biografico evocato e rimbalzante a sorpresa, bensì da una qualità che a nominarla parrebbe prosaica, ed è invece viatico al sublime: l’assoluta precisione, la volontà di esattezza. È una dote d’obbligo nel musicista interprete ed esecutore, e sarebbe desiderabile nel musicista compositore; nel musicista scrittore, duole dirlo, di solito làtita.
Tutto ciò, lo sa bene chi abbia letto i libri di Fischer-Dieskau di Lieder di Schubert e sui testi poetici della liederistica di Schumann. Leggendo quelle pagine, si entra in una zona di naturale consonanza e fratellanza (o discendenza) di sangue, essendo quei due compositori austro-tedeschi due prolungamenti dell’anima che il sommo e insuperato baritono ha riversato nella sfera dell’arte e della cultura d’Occidente. Meno consueto è il nominare Claude Debussy, autore che viene in mente con minore immediatezza quando si pensi alla carriera vocale di F.D., e alla sua fedeltà quasi disperata negli ultimi dieci anni della sua vita al destino della musica tedesca del secolo XX: Křenek, Arimann, il passaggio alla direzione d’orchestra “in stile severo-tedesco”. Per Debussy, con intuizione perfetta e magistrale, F.D. parte dalla scena, lugubre e dolente, della morte del musicista francese, non per suggestione del flash back cinematografico, ma per accordare la propria persona, anzi la propria corporeità, al linguaggio musicale di Debussy: malinconico, seducente, laico sotto un cielo senza Dio. Una fortissima emotività colpisce il lettore sin dalle prime righe, generando un’onda lunga, una “musica pensante”. È soltanto la prima meraviglia di questo libro ci offre.
CLAUDE DEBUSSY E IL SUO MONDO Dietrich Fischer-Dieskau trad. di Francesco Bussi Unicopli, Milano, pagg. 470, € 30