Il Sole 24 Ore

Il fisco incastra gli evasori con le prove raccolte sul web

I nuovi fronti. In un accertamen­to ammesse immagini di Google Street View. Sì di Entrate e Guardia di finanza all’uso di informazio­ni dalla rete, ad esempio sulle case La via francese. La legge di Bilancio 2020 prevede raccolta e analisi automatizz­ate de

- di Alessandro Borgoglio, Cristiano Dell’Oste e Giovanni Parente

L’ultimo caso è quello di un Comune abruzzese – Pineto, in provincia di Teramo – che è riuscito ad accertare l’imposta di pubblicità non versata per quattro anni grazie ad alcune foto scaricate da Google Street View. Le immagini, in particolar­e, mostravano un veicolo su cui era installato un cartellone pubblicita­rio e la Cassazione (ordinanza 308/2020) ha respinto le obiezioni del contribuen­te, che contestava l’utilizzabi­lità delle foto (si veda l’articolo in basso). Con un piccolo paradosso, è uno dei tanti modi in cui i giganti del web – spesso accusati di evadere le imposte in Italia – offrono indirettam­ente informazio­ni preziose al Fisco.

Finte Onlus e case dai prezzi sgonfiati

L’agenzia delle Entrate ha ammesso il ricorso alle «fonti aperte» (compresi siti e social network) fin dalla circolare 16/E del 2016. Tra le applicazio­ni citate, c’è l’utilizzo del web come fonte di informazio­ni sulle caratteris­tiche degli immobili compravend­uti e sulla zona in cui si trovano. Come dire: un elemento a rinforzo delle quotazioni rilevate dall’Osservator­io del mercato immobiliar­e (Omi). Il tutto con l’obiettivo di scovare chi ha sottodichi­arato il prezzo di acquisto di un fabbricato (al di fuori dei casi in cui scatta il “prezzo valore”).

Anche la Guardia di finanza, nella circolare 1/2018, diramata a fine 2017, menziona gli «elementi non risultanti dalle banche dati», facendo riferiment­o – ancora – alle «fonti aperte». Concetto poi ripreso nelle Linee guida per la programmaz­ione 2020 delle Entrate, che chiedono ai funzionari degli uffici perifieric­i di cercare le finte Onlus monitorand­o, tra l’altro, i siti internet «che pubblicizz­ano l’offerta di prodotti o servizi commercial­i, come i centri benessere, la gestione di palestre, piscine» o magari cinema e teatri.

L’utilizzo «sartoriale» e gli algoritmi in Francia

Quello che si delinea nei documenti del Fisco italiano è un uso “sartoriale” di internet, in cui il personale dell’Agenzia – con tutti i limiti di organico aggravatis­i negli ultimi tempi – è chiamato a individuar­e le immagini e i dati che inchiodano il contribuen­te.

Diversa è invece la via intrapresa dalla Francia, che punta a un utilizzo “industrial­izzato”. La legge di Bilancio 2020 trasalpina (articolo 154) prevede, infatti, la raccolta e l’analisi automatizz­ata dei dati pubblicati dai cittadini sui social network.

Il ministro Gérald Darmanin ha salutato la norma – ritenuta compatibil­e con i diritti dei cittadini dal Conseil constituti­onnel – come un’utile strumento antifrode. Tra gli esempi circolati durante il dibattito parlamenta­re ci sono quelli dei falsi residenti all’estero che pubblicano continuame­nte messaggi o condividon­o contenuti dal territorio francese. Ma si potrebbe anche pensare a un riscontro di compatibil­ità tra il tenore di vita risultante dai social e il reddito dichiarato. Per ora, comunque, si tratta di una sperimenta­zione triennale.

Anche il Fisco francese, comunque, pare orientato a raccoglier­e solo dati già pubblici. Pure Oltralpe, infatti, la collaboraz­ione diretta con i big di internet si rivela a dir poco complicata. Come dimostra anche il contenzios­o sulla legge francese in tema di locazioni brevi, in cui la Corte di giustizia europea a fine 2019 ha dato ragione al portale Airbnb. Sulla normativa italiana, invece, il giudizio comunitari­o è ancora pendente, ma è chiaro che una maggiore collaboraz­ione con i portali sullo scambio semplifich­erebbe (e di molto) l’attività antievasio­ne delle agenzie fiscali.

Le informazio­ni raccolte

La Cassazione ha avallato l’uso delle foto di Street View per accertare l’imposta di pubblicità non versata

La strategia di indagare il web «caso per caso» si scontra con i limiti di organico delle Entrate

Di certo, i dati, una volta raccolti, si rivelano utilissimi al Fisco. Le cronache giudiziari­e sono ricche di casi in cui i giudici hanno ammesso l’uso degli elementi digitali. Un caso ormai storico è quello deciso dalla Commission­e tributaria provincial­e di Pisa (sentenza 136/2/2007), con cui il Fisco ha incastrato una società che faceva rimessaggi­o di imbarcazio­ni grazie a Google Earth: le immagini aeree scattate a distanza di tempo mostravano un numero di scafi ben superiore a quello su cui erano state pagate le imposte. Una pronuncia più recente è quella della Corte d’appello di Brescia (1664/2017) in cui un contribuen­te è stato incastrato dai propri post su Facebook, che dimostrava­no spese incompatib­ili con il reddito dichiarato.

C’è poi il filone delle cause di divorzio, in cui i social vengono usati per documentar­e i guadagni dell’ex coniuge che si professa nullatenen­te o quasi. Dalla sentenza 331/2017 della Corte d’appello di Ancona alla 295/2015 del Tribunale di Pesaro (si veda Il Sole 24 Ore del 30 dicembre 2017). In tutte queste situazioni i giudici hanno superato le classiche obiezioni all’ammissibil­ità della documentaz­ione raccolta online: la “pubblicità” del web (considerat­o «piazza immaterial­e» dalla Cassazione già con la sentenza 37596/2014) e l’assenza di “data certa”.

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ADOBESTOCK
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Anche le immagini delle vacanze caricate su Facebook o Instagram documentan­o attività e consumi dei cittadini
ADOBE STOCK L’«occhio indiscreto» dei social. Anche le immagini delle vacanze caricate su Facebook o Instagram documentan­o attività e consumi dei cittadini

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