Stimoli elettrici per recuperare il movimento perso
Un impianto neurotecnologico ha innescato nuove connessioni nervose, che hanno riattivato quelle lesionate fino a sostituirle. Buone prospettive anche nell’ictus e Parkinson
Esiste la possibilità per i paraplegici di riacquistare il movimento o di migliorare la mobilità residua grazie alla stimolazione spinale con microelettrodi collegati a un pacemaker, al supporto di un esoscheletro collegato a device intelligenti e a uno specifico programma di riabilitazione.
Questa storia ha una simbolica data di nascita, anzi due. La prima è il 5 dicembre 2019, giorno dell’inaugurazione ufficiale dell’Istituto di ricerca di Losanna, in Svizzera, chiamato NeuroRestore. La seconda è il primo novembre 2018, giorno della pubblicazione, su Nature, dei risultati dello studio chiamato Stimo (da STImulation Movement Overground), con i quali il mondo è venuto a conoscenza della possibilità concreta, per i paraplegici, di riacquistare il movimento o, quantomeno, il controllo di alcuni muscoli. Ma anche il miglioramento della mobilità residua grazie alla combinazione della stimolazione spinale con microelettrodi collegati a un pacemaker impiantabile, al supporto con un esoscheletro del peso corporeo tramite device intelligenti e a uno specifico programma di riabilitazione.
Nei due studi pubblicati in contemporanea, infatti, i ricercatori guidati da Jocelyne Bloch per la parte neurochirurgica e da Grégoire Courtine per quella neuroingegneristica, hanno mostrato i risultati ottenuti prima sugli animali e poi sui primi otto pazienti con lesioni del midollo spinale di lunga data (ma mai complete) sottoposti al trattamento. Questo ha convinto la Fondazione Defitech, che sostiene progetti specificamente rivolti alle disabilità fisiche e mentali, l’Ospedale Universitario di Losanna e il Politecnico della stessa città (Epfl) a riunire forze e competenze, per dare vita a un centro interamente dedicato alla ricerca sulla riabilitazione più avanzata, studiata in laboratorio e sul campo, da team multidisciplinari di neurochirurghi, neurologi, bioingegneri e molte altre figure professionali.
Racconta Silvestro Micera, tra gli autori di uno dei due studi, neuroingegnere dell’Epfl, ma anche ordinario di biorobotica della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa: «Ciò che manca, in caso di lesione del midollo, è l’arrivo ai muscoli dello stimolo dal cervello, ma le cellule nervose a valle di essa possono lavorare normalmente, e quindi far passare uno stimolo, se attivate nel modo giusto. Siamo partiti da questo fatto, e dalla stimolazione molto precisa di alcuni di questi neuroni (in particolare, di quelli che regolano il movimento di specifici muscoli del piede) con microelettrodi inseriti al di sotto della lesione. I microelettrodi sono stati poi collegati a un pacemaker impiantabile, attivato da appositi sensori che segnalano l'inizio di un movimento. È accaduto quello che speravamo, e che finora non era stato possibile ottenere in tentativi analoghi fatti da altri centri che lavorano nello stesso ambito: dopo pochissimi giorni i pazienti hanno iniziato a recuperare la capacità di muovere i primi muscoli, e nel tempo (dopo circa sei mesi) non hanno più avuto bisogno del supporto per il peso corporeo né della stimolazione. Quest’ultima, infatti, ha innescato la formazione di nuove connessioni nervose, che hanno via via sostituito quelle lesionate fino a sostituirle».
Il passo in avanti sembra dunque davvero significativo, perché si può pensare, in prospettiva, che la stimolazione spinale assicuri il recupero completo a pazienti come i primi otto, che avevano lesioni da diversi anni e le cui capacità di recuperano erano quindi, in teoria, assai limitate, ma anche a persone che hanno chance di recupero anche maggiori perché hanno un danno recente. Per questo motivo il primo novembre, ovvero la pubblicazione (frutto, ovviamente, del lavoro di molti anni), ha costituito un punto di svolta: in poco più di un anno quei risultati hanno portato al finanziamento di un centro di ricerca dedicato, in cui le diverse competenze necessarie collaborano ogni giorno e in cui sono preseneti anche diversi italiani, tra i quali Elvira Pirondini, bioingegnera formatasi a Milano e ora parte del team di ricercatori che lavora su un'altra possibile applicazione della riabilitazione spinale, importantissima per il numero dei potenziali pazienti: quella dedicata alle persone colpite da ictus. Spiega Pirondini: «Nel caso dell’ictus la situazione è diversa e assai più complicata perché il danno è a livello centrale, e differente da paziente a paziente per area, estensione, conseguenze: occorre quindi personalizzare ogni singolo intervento, anche se il principio di base è lo stesso, ovvero agire sui neuroni che comandano i muscoli, per esempio della mano, una delle vittime più frequenti della paresi tipica dell'ictu». Gli studi sono in pieno svolgimento, anche se occorrerà tempo prima di vedere le prime riabilitazioni post ictus, così come ce ne vorrà per un'altra malattia in studio che compromette la mobilità, il morbo di Parkinson. Nel frattempo, però, è già partita la fase 2 dello studio Stimo, che dovrebbe reclutare 20 pazienti anche in Olanda e Germania, questa volta con lesioni recenti, per verificare tutte le potenzialità del metodo.
Ci sono infine ricadute tecnologiche e potenzialmente commerciali. Finora, infatti, sono stati usati microelettrodi Medtronic, azienda leader nel settore che ha una sede proprio a Losanna e che ha contribuito alla nascita di NeuroRestore con borse di studio, ma Bloch e Courtine hanno fondato una propria startup chiamata Gtx Medical, per lo sviluppo di elettrodi ancora più specifici e personalizzati per rispondere ancora meglio alle esigenze dei diversi pazienti.