Il Pd: fase due riformista, ma diamo tempo al M5S
Il segretario dem pronto a rafforzare l’agenda ma preoccupato per i riflessi delle difficoltà Cinque Stelle
Zingaretti.
«Mi aspetto il rilancio della stagione riformista del governo. Con Conte mi sento continuamente, sta lavorando per aprire la fase due del governo». Da una parte il rinnovato asse con il premier; dall’altra la consapevolezza che il suo Pd, uscito rafforzato dalle urne regionali e dal respingimento della Lega nell’Emilia rossa, ha ora il dovere di imporre l’agenda e di dare una sterzata riformista al governo giallo-rosso. Pena il rischio del proverbiale tirare a campare. Nicola Zingaretti si trova in una posizione mediana, come spesso gli è capitato dall’inizio di questa avventura governativa: alzare il tasso di riformismo del governo senza mettere troppo in difficoltà gli alleati del M5s, che pur in profonda crisi restano il primo gruppo in Parlamento. E se il vicesegretario Andrea Orlando si spinge a parlare di «modifica dell’asse del governo su molte questioni a cominciare dalla giustizia» perché «il M5s dopo questa severa sconfitta deve rinunciare a un armamentario che non paga elettoralmente e che rende difficile l’attività di governo», il segretario getta acqua sul fuoco: «Non cambiano gli equilibri nella maggioranza, dobbiamo trovare insieme le soluzioni per governare bene».
«Guai a vivacchiare, riformismo è continuare a fare le cose», è da ieri il mantra che si ripete a Largo del Nazareno. «Si è vista la differenza quando si è annunciato il taglio delle tasse. Ora investimenti green, aumento dell’obbligo scolastico, rilancio del digitale, riforma fiscale per più giustizia». Ecco, non a caso nell’agenda programmatica snocciolata da Zingaretti non compaiono le questioni più spinose: prescrizione, concessioni autostradali, quota 100, modifica dei decreti sicurezza. «Con i 5 stelle occorre la massima unità e collaborazione», ripete Zingaretti con un occhio alle amministrative di giugno, quando il match Pd-Salvini si ripeterà in regioni importanti come la Campania,
le Marche e la Toscana. Frenare i bollenti spiriti riformisti per non mettere in difficoltà il M5s a pochi giorni dal passo di lato di Luigi Di Maio, fin qui il più fiero oppositore all’alleanza strutturale con il Pd, è d’altra parte la ricetta dell’uomo forte del Pd al governo. Dario Franceschini lo ripete in queste ore nelle sue conversazioni: «Non dobbiamo umiliare gli alleati costringendoli al dietrofront sui loro temi identitari, dobbiamo dare loro il tempo di metabolizzare il cambiamento». Altrimenti, è il rischio sottinteso, i pentastellati rischiano di implodere anzitempo portandosi dietro premier e governo.
L’appuntamento clou per la maggioranza restano gli Stati generali M5s di marzo, quando secondo tutte le previsioni dovrebbe prevalere l’ala pro-Pd favorevole alla costruzione del «campo largo riformista» caro a Zingaretti. Fino a quel momento occorre massima prudenza. E arte del compromesso. «Sono contento che si inizia a capire che non c’è nessuna subalternità ma una strategia politica. So che è un momento travagliato nel movimento ma per me il M5s da agosto è un alleato, non un avversario». La scommessa del Pd zingarettiano resta dunque quella dell’alleanza strategica con il M5s, o quel che ne resta, a partire dalle amministrative di giugno. Per questo si prendono per quello che sono, ossia un arroccamento in un momento di difficoltà, le parole del “reggente” Vito Crimi che proprio ieri ha ribadito la volontà del movimento di correre in solitaria. Tempo al tempo, dunque. Anche sulla questione della legge elettorale. Il testo per un proporzionale con sbarramento al 5% presentato alla Camera era funzionale all’accordo con Di Maio, fautore della “terza via”. È chiaro che per spingere il nuovo quadro bipolare che si sta delineando - campo riformista ed europeista di qua, destra sovranista di là sarebbe più funzionale un maggioritario a doppio turno nazionale. Ma anche questo tema resterà sullo sfondo fino a marzo.