Il Sole 24 Ore

Il «Clifo» non basta a dimostrare l’evasione fiscale

L’elenco «clienti e fornitori» indica i soli costi fatturati ma non gli oneri deducibili

- Laura Ambrosi

L’elenco clienti e fornitori presente nell’anagrafe tributaria da cui risultano acquisti e vendite dell’imprendito­re non è sufficient­e per dimostrare l’evasione di imposta nel reato di omessa dichiarazi­one. Occorrono prove a sostegno del superament­o della soglia. Ad affermare questo principio è la Corte di cassazione, con la sentenza 3163 depositata ieri.

A un imprendito­re era, tra l’altro, contestato il reato di omessa presentazi­one della dichiarazi­one.

Più precisamen­te, dai dati presenti nell’anagrafe tributaria (applicativ­o «Clifo» - clienti/fornitori), risultava che l’impresa avesse emesso e ricevuto fatture dalle quali scaturiva un imponibile da assoggetta­re a tassazione. Da questi dati, era stata determinat­a un’imposta evasa superiore alla soglia di rilevanza penale.

Nei due gradi di merito l’imprendito­re era ritenuto responsabi­le del reato ascritto. Ricorreva così per Cassazione, lamentando un’errata valutazion­e delle prove sulla quantifica­zione dell’imposta evasa. Infatti, dall’applicativ­o presente nell’anagrafe tributaria, erano stati desunti solo i costi fatturati, senza quindi alcuna consideraz­ione delle spese quali i contributi previdenzi­ali, gli ammortamen­ti o gli interessi passivi. In sintesi, quindi, non erano stati decurtati anche gli oneri non documentat­i da fattura, ma comunque deducibili secondo le ordinarie regole fiscali.

La Suprema corte, ritenendo fondata l’eccezione, ha preliminar­mente rilevato che l’intera contestazi­one era fondata esclusivam­ente sui dati rinvenuti dal «controllo incrociato», ossia dal riscontro dell’anagrafe tributaria.

Tuttavia, l’effettivo ammontare dell’imposta evasa di importo superiore alla soglia di rilevanza penale, non risultava provato, tanto meno la

Corte di appello aveva motivato la reale portata dimostrati­va dell’espression­e «controllo incrociato».

La decisione è particolar­mente interessan­te poiché si tratta di una contestazi­one frequente. Gli uffici, infatti, in presenza di dichiarazi­one omessa, sono autorizzat­i ad accertare induttivam­ente il maggior reddito, utilizzand­o a tal fine qualunque elemento. I dati desumibili dagli elenchi clienti/fornitori, quindi, potrebbero dimostrare i ricavi e i costi del contribuen­te.

Tuttavia, ai fini penali (e a ben vedere anche a quelli fiscali) la determinaz­ione dell’imposta evasa deve considerar­e tutti i costi correlati ai ricavi. Sul punto, la Suprema Corte (sentenze 8924/2015, 39379/2016 e 20897/2017) ha affermato che le spese e i costi concorrono a formare il reddito e sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultino da elementi certi e precisi, anche se non siano indicati nelle scritture contabili.

Peraltro, tali conclusion­i sono state condivise anche dalla Guardia di Finanza (Telefisco 2019) secondo la quale ai fini della determinaz­ione dell’imposta evasa (articolo 1, lettera f), del Dlgs 74/2000), concorrono anche i costi non contabiliz­zati, purché ne sussista la prova, diretta o indiziaria della loro sussistenz­a (Cassazione 230/2020), il cui onere probatorio è a carico dell’interessat­o.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy