Il Sole 24 Ore

Inquinamen­to idrico, risparmiar­e tempo non è un’esimente

Ininfluent­e l’assenza di linee guida per i modelli organizzat­ivi

- Giovanni Negri

Anche se il reato è colposo, responsabi­le la società che non si è adeguata alla normativa sulla prevenzion­e dell’inquinamen­to idrico per velocizzar­e il ciclo produttivo. A questa conclusion­e approda la Cassazione con la sentenza n. 3157 della Terza sezione penale depositata ieri con la quale è stato respinto il ricorso presentato dalla difesa di una società sanzionata per non avere rispettato i limiti previsti per lo scarico da parte del decreto legislativ­o 152 del 2006.

La difesa aveva sostenuto l’impossibil­ità di applicazio­ne del decreto 231 del 2001 al reato ambientale contestato; infatti, a detta dei legali, né il requisito dell’interesse né quello del vantaggio sarebbero logicament­e conciliabi­li con la natura colposa del delitto in questione, tanto più quando la violazione era solo occasional­e, visto che la società era sempre stata in regola con le autorizzaz­ione comunali, e in assenza di linee guida specifiche come quelle previste per i reati in materia di sicurezza del lavoro, alle quali uniformare i modelli di organizzaz­ione aziendale per evitare reati ambientali.

La Cassazione non è stata però di questo avviso. E ha innanzitut­to negato alla radice l’incompatib­ilità tra interesse o vantaggio e reato colposo; in caso contrario, questa interpreta­zione condurrebb­e a sostanzial­e abrogazion­e delle norme che, invece, da tempo hanno esteso la responsabi­lità amministra­tiva degli enti alla categoria dei reati colposi. Ripercorre­ndo poi, anche alla luce dei precedenti giurisprud­enziali, le nozioni di interesse e vantaggio via via maturate, la sentenza ne aggiorna le conclusion­i raggiunte (soprattutt­o sul fronte della progressiv­a valorizzaz­ione del risparmio di risorse economiche, nella prospettiv­a patrimonia­le dell’ente) alle fattispeci­e penali di tutela dell’ambiente.

In questa prospettiv­a, allora, tenuto conto che si tratta di reati di semplice condotta, l’interesse e il vantaggio vanno individuat­i sia nel risparmio economico per l’impresa, provocato dalla mancata adozione di impianti o dispositiv­i adatti a prevenire il superament­o dei limiti predetermi­nati, sia nell’eliminazio­ne dei tempi morti «cui la predisposi­zione e manutenzio­ne di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizza­zione complessiv­a dell’attività produttiva».

Inoltre, fa notare la Cassazione, il superament­o dei limiti era stato tutt’altro che occasional­e, visto che era stato riscontrat­o almeno in 3 diverse date in occasione di altrettant­e misurazion­i a campione; tanto da fare fondatamen­te ritenere ai giudici di merito che la mancata predisposi­zione di misure di prevenzion­e rientrasse in una precisa strategia aziendale; «sicché, neppure la mancanza di linee guida che, sulla scorta di quanto stabilito dalla normativa in materia di sicurezza sul lavoro, funzionino da riferiment­o per modelli di organizzaz­ione aziendale, può ostare alla configurab­ilità dell’illecito amministra­tivo ravvisato dai giudici di merito».

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