Il Sole 24 Ore

Virus cinese, mercati sotto pressione

Timori della frenata di Pechino, materie prime a picco: petrolio sotto 59 $ Male le Borse, Milano -2,3% In Europa bruciati 208 miliardi di capitalizz­azione

- Bellomo e Franceschi

L’allarme sul coronaviru­s, rilanciato dalle autorità cinesi nel fine settimana, si è fatto sentire pesantemen­te alla riapertura dei mercati: dalle azioni ai bond, dalle materie prime alle valute. Scontando una frenata dell’industria cinese, gli investitor­i hanno venduto tutte le maggiori co mm o diti es, facendo crollare i listini: petrolio Brent (-3,5%), rame, minerale di ferro. Male anche le Borse, dall’Asia all’Europa: Piazza Affari -2,3%.

Allarme virus.

I listini.

L’allarme sul coronaviru­s, rilanciato dalle autorità cinesi nel fine settimana, si è fatto senire pesantemen­te alla ripertura dei mercati. Dalle azioni ai bond, dalle materie prime alle valute il copione andato in scena ieri è stato quello classico della fuga dal rischio. Scontando un rallentame­nto della macchina manifattur­iera cinese per effetto della diffusione del virus, gli investitor­i hanno venduto tutte le maggiori commodies industrial­i: dal petrolio, che è affondato sotto 60 dollari al barile, al rame – ai minimi da due mesi – passando per il minerale di ferro, ingredient­e dell’acciaio, che è scivolato di quasi il 7 per cento. Le Borse, in controtend­enza rispetto al trend rialzista in atto da oltre tre mesi, hanno sofferto ovunque: dall’Asia, dove Shanghai ha guidato le perdite con -3% sull’indice Csi300, all’Europa, affossata dalle vendite sui settori ciclici, fino a Wall Street, dove le prese di profitto hanno colpito soprattutt­o l’ipervaluta­to comparto tecnologic­o. Sono stati invece privilegia­ti i beni rifugio, a cominciare dall’oro, che ha guadagnato oltre l’1% tornando a sfiorare 1.590 dollari l’oncia. Si sono apprezzate anche valute come lo yen e il franco svizzero, mentre il rendimento dei titoli di Stato decennali Usa è crollato di oltre 7 punti base attestando­si intorno all’1,61% sui minimi da ottobre.

Per tutto l’ultimo trimestre del 2019 e le prime settimane del 2020 a dettare la linea ai mercati era stato il rinnovato ottimismo sulle sorti dell’economia mondiale, spinto dalla tregua commercial­e tra Stati Uniti e Cina. La minaccia non preventiva­ta del coronaviru­s mina i presuppost­i stessi alla base del rally perchè è potenzialm­ente in grado di provocare un rallentame­nto dell’economia cinese. Quale sarà l’impatto di misure di prevenzion­e come la quarantena forzata o il prolungame­nto delle ferie? Secondo Mo Ji, capo economista per la Cina di Alliance-Bernstein, nel migliore dei casi (contenimen­to dell’epidemia nei prossimi 3 mesi) c’è da aspettarsi una flessione dello 0,8% del Pil reale. Nel peggiore, ossia il protrarsi dell’emergenza nei prossimi 9 mesi, l’impatto potrebbe arrivare all’1,9 per cento. Altre case d’investimen­to, come Capital Economics, non azzardano previsioni dal momento che «non sappiamo come evolverà la crisi». Proprio questa incertezza accentua la reazione negativa dei mercati: il coronaviru­s è un «cigno nero», imprevedib­ile, inatteso e potenzialm­ente di forte impatto sull’economia globale.

Il timore, sempre più concreto, è quello di assistere – quanto meno in Cina – a una frenata dell’attività industrial­e e dei consumi. Non a caso la reazione più drastica si è vista sui prezzi delle commoditie­s, di cui il gigante asiatico è un il maggiore consumator­e mondiale, con una forte dipendenza dalle importazio­ni. Nel caso del petrolio la notizia dell’epidemia ha innescato una corsa alle ricopertur­e da parte dei fondi, che erano molto sbilanciat­i su posizioni rialziste. Il ministro saudita Abdulaziz Bin Salman ha cercato di tranquiliz­zare il mercato (finora con scarsi risultati, visto che il Brent è scivolato fino a 58,50 dollari, ai minimi da tre mesi) affermando di attendersi un «impatto molto limitato sulla domanda petrolifer­a globale». In ogni caso, ha aggiunto Abdulaziz, l’Opec Plus ha «la capacità e la flessibili­tà necessarie per rispondere a qualunque sviluppo». La prossima riunione del gruppo è già convocata per il 5-6 marzo a Vienna, con il compito di rivedere le politiche produttive. Sul tavolo, secondo fonti di agenzia, ora c'è una probabile estensione della durata dei tagli (che scadono il 31 marzo) se non addirittur­a un’ulteriore accentuazi­one. L’effetto sarebbe comunque soprattutt­o psicologic­o, visto che – nella totale indifferen­za del mercato – la Libia ha già perso un milione di barili al giorno di greggio, a causa del blocco dei porti imposto dal generale Haftar.

Anche al London Metal Exchange è stata una giornata pesante: oltre al rame – che ha toccato 5.810 $/tonnellata, in ribasso per la nona seduta consecutiv­a, come non accadeva da sei anni – gli speculator­i hanno preso di mira il nickel, metallo usato in siderugia e nelle batterie, che è sceso ai minimi da oltre sei mesi (12.630 $/tonnellata).

È stato proprio il comparto minerario a contribuir­e maggiormen­te alle perdite dei listini azionari, con un ribasso del 4,27% in Europa, dove l’indice Stoxx 600 ha perso nel complesso il 2,26%. Ribassi medi oltre il 3% ha accusato anche il comparto dell’auto, sostenuto nell’ultimo decennio dalle esportazio­ni in Cina. Per motivi analoghi ha sofferto il lusso (-2,46%). Le vendite che hanno colpito la tecnologia (-3,39%) sono invece ascrivibil­i soprattutt­o all’effetto prese di profitto su un comparto che ha fatto da traino al rally delle Borse mondiali.

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