Conte avvia domani la verifica di governo
Il M5S sceglie Bonafede come capodelegazione Vince la linea Di Maio
È il Guardasigilli Alfonso Bonafede il nuovo capodelegazione dei ministri M5S al posto di Luigi Di Maio. A designarlo ieri per acclamazione la squadra pentastellata di governo e sottogoverno, riunita dal reggente Vito Crimi che poi ha partecipato alla prima assemblea congiunta dei gruppi dell’era post-Di Maio. L’incarico ha sbloccato l’atteso avvio del confronto sull’agenda 2023 dell’Esecutivo: il premier Giuseppe Conte ha subito convocato per domani alle 18.30 i capidelegazione di maggioranza.
La scelta di Bonafede, fedelissimo dell’ex leader, ancorché molto legato a Conte (fu lui a presentare a Di Maio il futuro premier), rivela la continuità con la sua linea. «So che ci sarà bisogno di grande determinazione in un momento così delicato nella storia del Movimento», la sua prima dichiarazione, con cui promette sì un metodo basato sul dialogo, ma si autodefinisce «voce del M5S nel Governo». L’indicazione non è neutra. Rispetto all’altro concorrente, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli che però aveva manifestato la sua indisponibilità, Bonafede non si è mai esposto a favore dell’adesione al fronte progressista anti-destra proposto anche ieri dal segretario Pd Nicola Zingaretti e rilanciato da Conte all’indomani della vittoria dem in Emilia. Per i fautori del M5S «ago della bilancia», terza via tra destra e sinistra, il ministro della Giustizia è una garanzia di autonomia. «Assicura che il Movimento non si appiattisca sul Pd», chiarisce un big.
D’altronde, è questa la posizione su cui lo stesso Crimi ha confermato il partito. Condivisa, oltre che da Di Maio, da Riccardo Fraccaro, Nunzia Catalfo, Fabiana Dadone, Paola Pisano, ma anche da viceministri di peso come Laura Castelli, Stefano Buffagni e Manlio Di Stefano, il più esplicito. «Fanc... a chi cerca di imporci un rinnovato bipolarismo», ha tuonato ieri. «Noi siamo nati con lo scopo di scardinare il sistema». Pensiero simile a quello di Alessandro Di Battista. Di Stefano ha aggiunto di immaginare per l’avvenire un leader «a tempo pieno» (e chi, se non Di Battista?) affiancato da un «consiglio».
Esce così apparentemente rafforzata l’ala dei “neutralisti”, indisponibili ad alleanze strutturali con il Pd. Ma il condizionale è d’obbligo. Perché le partite sulle prossime regionali sono aperte: lo provano gli attriti sulla Liguria e sulla Campania. Molto dipenderà da come Conte gestirà il confronto sul cronoprogramma delle riforme, dalle mediazioni che riuscirà a condurre in porto (su prescrizione e Autostrade in primis) e da quali concessioni potrà fare al M5S per scongiurare una scissione rischiosa, ritenuta probabile da un grillino della prima ora come Max Bugani. «Prudenza» è la parola d’ordine: far prevalere subito un riformista come capodelegazione (con Patuanelli i ministri Federico D’Incà, Sergio Costa, Vincenzo Spadafora e Lucia Azzolina) sarebbe apparso una forzatura. E poi la carta Patuanelli potrà essere giocata più in là dai filodem per la leadership M5S, in vista degli stati generali. Ma anche qui regna il buio: sia sulle modalità sia sulla data. Che dovrebbe slittare a dopo il 29 marzo, quando si terrà il referendum sul taglio dei parlamentari.