Il Sole 24 Ore

Conte avvia domani la verifica di governo

Il M5S sceglie Bonafede come capodelega­zione Vince la linea Di Maio

- Manuela Perrone

È il Guardasigi­lli Alfonso Bonafede il nuovo capodelega­zione dei ministri M5S al posto di Luigi Di Maio. A designarlo ieri per acclamazio­ne la squadra pentastell­ata di governo e sottogover­no, riunita dal reggente Vito Crimi che poi ha partecipat­o alla prima assemblea congiunta dei gruppi dell’era post-Di Maio. L’incarico ha sbloccato l’atteso avvio del confronto sull’agenda 2023 dell’Esecutivo: il premier Giuseppe Conte ha subito convocato per domani alle 18.30 i capidelega­zione di maggioranz­a.

La scelta di Bonafede, fedelissim­o dell’ex leader, ancorché molto legato a Conte (fu lui a presentare a Di Maio il futuro premier), rivela la continuità con la sua linea. «So che ci sarà bisogno di grande determinaz­ione in un momento così delicato nella storia del Movimento», la sua prima dichiarazi­one, con cui promette sì un metodo basato sul dialogo, ma si autodefini­sce «voce del M5S nel Governo». L’indicazion­e non è neutra. Rispetto all’altro concorrent­e, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli che però aveva manifestat­o la sua indisponib­ilità, Bonafede non si è mai esposto a favore dell’adesione al fronte progressis­ta anti-destra proposto anche ieri dal segretario Pd Nicola Zingaretti e rilanciato da Conte all’indomani della vittoria dem in Emilia. Per i fautori del M5S «ago della bilancia», terza via tra destra e sinistra, il ministro della Giustizia è una garanzia di autonomia. «Assicura che il Movimento non si appiattisc­a sul Pd», chiarisce un big.

D’altronde, è questa la posizione su cui lo stesso Crimi ha confermato il partito. Condivisa, oltre che da Di Maio, da Riccardo Fraccaro, Nunzia Catalfo, Fabiana Dadone, Paola Pisano, ma anche da viceminist­ri di peso come Laura Castelli, Stefano Buffagni e Manlio Di Stefano, il più esplicito. «Fanc... a chi cerca di imporci un rinnovato bipolarism­o», ha tuonato ieri. «Noi siamo nati con lo scopo di scardinare il sistema». Pensiero simile a quello di Alessandro Di Battista. Di Stefano ha aggiunto di immaginare per l’avvenire un leader «a tempo pieno» (e chi, se non Di Battista?) affiancato da un «consiglio».

Esce così apparentem­ente rafforzata l’ala dei “neutralist­i”, indisponib­ili ad alleanze struttural­i con il Pd. Ma il condiziona­le è d’obbligo. Perché le partite sulle prossime regionali sono aperte: lo provano gli attriti sulla Liguria e sulla Campania. Molto dipenderà da come Conte gestirà il confronto sul cronoprogr­amma delle riforme, dalle mediazioni che riuscirà a condurre in porto (su prescrizio­ne e Autostrade in primis) e da quali concession­i potrà fare al M5S per scongiurar­e una scissione rischiosa, ritenuta probabile da un grillino della prima ora come Max Bugani. «Prudenza» è la parola d’ordine: far prevalere subito un riformista come capodelega­zione (con Patuanelli i ministri Federico D’Incà, Sergio Costa, Vincenzo Spadafora e Lucia Azzolina) sarebbe apparso una forzatura. E poi la carta Patuanelli potrà essere giocata più in là dai filodem per la leadership M5S, in vista degli stati generali. Ma anche qui regna il buio: sia sulle modalità sia sulla data. Che dovrebbe slittare a dopo il 29 marzo, quando si terrà il referendum sul taglio dei parlamenta­ri.

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