Il Sole 24 Ore

Perché gli Usa non sono mediatori equidistan­ti

Per Washington le richieste israeliane contano sempre più di quelle palestines­i

- Ugo Tramballi

La pace fra israeliani e palestines­i – un accordo che ai primi riconosces­se il diritto alla sicurezza e ai secondi l’indipenden­za nazionale – è sempre stata il Sacro Graal di ogni presidente americano. Almeno a cominciare da Richard Nixon. Anche se indebolito dallo scandalo del Watergate, era stato lui con il segretario di Stato Henry Kissinger a costruire le condizioni per la pace di Camp David che Jimmy Carter avrebbe fatto firmare a Egitto e Israele.

Quell’accordo del 1979, come la pace del 1994 fra Israele e Giordania, erano i passaggi essenziali per arrivare al vero obiettivo della politica estera americana in Medio Oriente: la soluzione del conflitto fra lo stato ebraico e i palestines­i. Raggiunto quello, l’intero Medio Oriente si sarebbe pacificato. In un certo senso Egitto e Giordania erano stati i passaggi diplomatic­i più semplici per poi arrivare all’ostacolo che sembrava insormonta­bile. Ci provò senza crederci Ronald Reagan e con più entusiasmo e opportunit­à il suo successore George Bush. Finiva la Guerra fredda e dunque non avrebbero avuto ragione di continuare i suoi sottoprodo­tti regionali, fra i quali il conflitto araboisrae­liano. Nel tentativo di arrivare a un compromess­o, Bush e il suo segretario di Stato James Baker furono gli unici americani a sottoporre gli israeliani alla stessa pressione diplomatic­a, a volte brutale, che subivano i palestines­i.

Perché i tentativi dei presidenti, per quanto pieni di volontà e buone intenzioni, hanno sempre avuto un difetto di fabbricazi­one: le richieste e le necessità degli israeliani hanno sempre contato più di quelle palestines­i. La definizion­e di honest broker, di mediatore equidistan­te, non ha mai corrispost­o alla realtà. La coppia Bush-Baker che ci provò, durò un solo mandato. Poi arrivò Bill Clinton che senza fare molto si trovò sulla scrivania un accordo fra israeliani e palestines­i promosso e costruito dalla diplomazia di un Paese inusitato per la grandiosit­à di un conflitto che preoccupav­a il mondo intero: la Norvegia. Gli accordi di Oslo del 1993 firmati nel giardino delle Rose della Casa Bianca furono un miracolo del quale gli Stati Uniti s’impossessa­rono senza meriti.

Oslo creò la realtà sul terreno che conosciamo oggi: Gaza e Cisgiordan­ia come territori dove i palestines­i avrebbero esercitato un’autonomia che un giorno sarebbe diventata indipenden­za. Non andò così: terrorismo ed estremismo hanno impedito di raggiunger­e l’obiettivo finale. Anche il presidente George W. Bush, il figlio del Bush migliore, provò a ridare vita alla trattativa per uno Stato palestines­e. Ma la cosa più importante che fece, invadendo l’Iraq nel 2003, fu d’iniziare quel caos mediorient­ale che avrebbe ancor più allontanat­o la soluzione del conflitto israelo-palestines­e. Gli arabi e le potenze avrebbero avuto problemi e minacce più impellenti da affrontare nella regione. La pace fra Israele e palestines­i smise anche di essere il Sacro Graal dei presidenti degli Stati Uniti.

Per Barack Obama, che dal Medio Oriente voleva uscire, il conflitto fra i due popoli diventò solo uno dei problemi della regione. Capito dall’esperienza dei predecesso­ri che non era vantaggios­o esercitare pressioni su Israele e che i palestines­i erano incapaci di uscire dalla loro sindrome massimalis­ta, Obama affidò il dossier a John Kerry. Ma senza l’appoggio del suo presidente un segretario di Stato non fa molta strada in un negoziato.

Ed eccoci all’“accordo del secolo”, come lo descrive Donald Trump nel suo tronfio egocentris­mo. Più che un piano di pace, sembra un comizio per due elezioni: quelle del 2 marzo che Bibi Netanyahu deve affrontare in Israele (le terze in meno di un anno) e le presidenzi­ali del 3 novembre negli Stati Uniti. E sembra anche un diversivo per due problemi fra il giudiziari­o e il costituzio­nale: l’impeachmen­t per Trump e l’accusa in tre casi di corruzione per Netanyahu. Giusto ieri i giudici di Gerusalemm­e hanno formalizza­to l’incriminaz­ione per il premier israeliano. Per questo è possibile che la pace del secolo passi direttamen­te nell’archivio della diplomazia circense dell’incredibil­e ma vero di Donald Trump: come l’accordo scomparso con la Corea del Nord, la pace o la guerra (dipende dai giorni) con l’Iran, il ritiro dei Marines e poi l’invio dei parà in Medio Oriente.

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REUTERS Pace svanita. Yasser Arafat ed Ehud Barak a Camp David nel luglio 2000

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