Il Sole 24 Ore

SERVONO NORME EQUE E SEMPLICI

- Di Angelo Cremonese

Il compito di progettare una riforma del sistema tributario e, in particolar­e, dell’Irpef è certamente molto difficile e pieno d’insidie.

Bisogna anzitutto prendere atto delle profonde modifiche che stanno trasforman­do il mondo dell’economia e della finanza e ripensare in maniera complessiv­a al modello attraverso cui le risorse private vengono trasferite allo Stato per consentire il funzioname­nto della macchina pubblica. Il rischio da evitare è quello di continuare sulla strada che si segue da decenni: intervenir­e con dei correttivi parziali che lasciano inalterato il quadro d’insieme senza incidere realmente su contraddiz­ioni, iniquità, inutili appesantim­enti ed eccessiva complessit­à.

Le esigenze di modifica sono molteplici e spesso vanno in direzioni contrappos­te: più equità e maggiore efficienza; riduzione degli adempiment­i e contrasto all’evasione; alleggerim­ento della pressione tributaria e vincoli di finanza pubblica. In questo scenario complesso non è difficile perdersi o, peggio, cadere nella tentazione di disegnare una riforma orientata alla ricerca del consenso.

Un utile punto di partenza potrebbe essere quello di individuar­e alcune priorità su cui costruire le fondamenta del sistema tributario del futuro. Il progetto di una grande riforma fiscale non può prescinder­e dalla presa di coscienza di alcuni importanti punti fermi, delle vere e proprie parole d’ordine: equità, semplifica­zione e crescita. Un principio che sembra dimenticat­o in tema di equità è quello di tassare in modo uniforme i redditi di uguale ammontare, la cosiddetta equità orizzontal­e. L’Irpef nell’attuale sistema ha gradualmen­te abbandonat­o i criteri ispiratori di progressiv­ità del dettato costituzio­nale, facendo il pieno di forfetizza­zioni e cedolari che portano a evidenti disparità di trattament­o fra contribuen­ti aventi redditi di diversa classifica­zione ma di uguale ammontare, con conseguent­i effetti distributi­vi molto discutibil­i. Le diseguagli­anze sociali nel nostro Paese hanno raggiunto livelli allarmanti. Secondo le più recenti rilevazion­i di Eurostat nell’ultimo decennio la forbice si è addirittur­a allargata: il 20% più ricco della popolazion­e

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IL PROBLEMA L’imposta sul reddito ha abbandonat­o i criteri di progressiv­ità indicati dalla Costituzio­ne. Disparità sociali a livelli allarmanti

ha entrate di 6 volte superiori del 20% più povero. Non bisogna dimenticar­e che senza un deciso intervento sulle disuguagli­anze si rischia di assistere a una eccessiva verticaliz­zazione della società, causa di inevitabil­i tensioni tra chi possiede la ricchezza e chi ne è escluso. Una eccessiva concentraz­ione dei redditi e del patrimonio, peraltro, incide negativame­nte su consumi e produttivi­tà, rende il sistema nel complesso meno efficiente e agisce da freno per la crescita economica. Cause e rimedi di un fenomeno cosi complesso sono molteplici e non possono essere cercate solo nel campo tributario, ma non va sottovalut­ata l’importanza del ruolo che il fattore fiscale potrebbe svolgere nella funzione redistribu­tiva della ricchezza.

Sul fronte della semplifica­zione sarebbe necessario pensare a una vera e propria rivoluzion­e copernican­a e prendere atto che, nonostante il livello assurdo di complessit­à raggiunto dal sistema tributario, il fenomeno dell’evasione non si è ridimensio­nato proporzion­almente. La riflession­e che dovrebbe emergere da questo dato è che, forse, l’evasione si combatte meglio con un sistema tributario meno complesso, con poche regole semplici, facili da comprender­e e da controllar­e. Un esempio interessan­te riguarda uno dei tributi più evasi: l’Iva, con molteplici aliquote previste per beni analoghi e una grande complessit­à delle tabelle dei prodotti e dei servizi. Insieme alla maggiore difficoltà degli adempiment­i e dei controlli, si rischia di favorire una evasione intermedia provocata da aliquote alte all’acquisto e basse alla vendita.

Inoltre, preso atto che il contrasto d’interessi funziona poco, si dovrebbe drasticame­nte mettere mano al labirinto delle tax expenditur­e creando un sistema di detrazioni limitato nel numero e concentrat­o su pochi elementi struttural­i con tetti legati ai livelli di reddito. Sembra fin troppo scontato sottolinea­re che chi ha più bisogno di snellire il volume degli adempiment­i sono soprattutt­o le imprese, penalizzat­e da una “burocrazia fiscale” che, calcolata in ore uomo, rappresent­a un onere superiore di oltre un terzo rispetto alla media europea. Anche l’eccessiva complessit­à del sistema costituisc­e un freno alla crescita, unitamente al peso troppo elevato delle imposte che gravano su imprese e lavoro. Andrebbe costruito un sistema in linea con le moderne esigenze delle aziende, in cui i tax rate effettivi non siano significat­ivamente superiori a quelli nominali e le differenze fra risultati economici e basi imponibili siano decisament­e limitate e rivolte, più che ad aumentare il gettito con restrizion­i ormai lunari sui costi, a individuar­e misure selettive che incentivin­o l’aumento della produttivi­tà e l’innovazion­e.

Il sistema tributario può contribuir­e fortemente a creare i presuppost­i per tornare a crescere, spostando una parte del carico fiscale dal lavoro e dalle imprese sulle rendite, su nuovi indici di capacità contributi­va finora trascurati dalla tassazione, su imposte correttive che guardino ai pressanti temi della salvaguard­ia dell’ambiente e che possano, educando, compensare i problemi creati dalle tante esternalit­à negative a cui la nostra società è oggi esposta.

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