Il Sole 24 Ore

Il rifiuto della trasfusion­e non taglia il risarcimen­to ai parenti della vittima

Secondo la Cassazione non si configura il concorso colposo del creditore Il nesso di causalità materiale condotta-evento non è frazionabi­le

- Maurizio Caprino

La Cassazione esclude in ambito civile il taglio del risarcimen­to danni da incidente stradale se la vittima muore perché rifiuta trasfusion­i per convincime­nto religioso. Lo stabilisce la sentenza 515/2020, depositata il 15 gennaio. Il principio è limitato a un caso particolar­e e non ha riflessi penali (si veda l’articolo sotto), ma è argomentat­o con spunti interessan­ti.

La vittima era stata ricoverata in gravissime condizioni in un ospedale di Roma, dove veniva sottoposto ad intervento chirurgico d’urgenza ma non alla terapia emotrasfus­ionale prescritta, perché al momento dell’incidente aveva con sé una dichiarazi­one dalla quale emergeva la sua volontà di non essere emotrasfus­o per motivi religiosi. Dopo il suo decesso, i congiunti facevano causa alla compagnia che assicurava il responsabi­le civile dell’incidente, per ottenere il risarcimen­to dei danni subiti.

Il Tribunale di Roma accoglieva il ricorso, affermando che la responsabi­lità dell’incidente era riconducib­ile esclusivam­ente al conducente della vettura investitri­ce e condannand­o il suo assicurato­re a risarcire i danni patiti dai congiunti per la morte della vittima. La compagnia presentava appello, adducendo che la morte fosse conseguenz­a diretta e immediata del rifiuto della vittima di ricevere trasfusion­i di sangue.

La Corte d’appello di Roma accoglieva parzialmen­te quest’ultimo ricorso e, pur ritenendo che il sinistro fosse da attribuirs­i in via esclusiva al conducente sopravviss­uto, giudicava che le possibilit­à di sopravvive­nza del paziente, ove fosse stato sottoposto alla trasfusion­e di sangue, fossero tra il 50% e il 65%. I giudici di secondo grado concludeva­no che l’evento mortale fosse riconducib­ile al concorso in pari misura di due cause: la condotta del conducente investitor­e e l’esposizion­e volontaria da parte del deceduto ad un rischio. Quindi, la sentenza d’appello riduceva il risarcimen­to dovuto ai congiunti della vittima del 50%, per tener conto dell’apporto concausale di quest’ultima al verificars­i della propria morte.

Tale pronuncia è stata ora cassata, per vari motivi. In sintesi, secondo la Cassazione non si può configurar­e alcun obbligo di sottoporsi alla cura e il rifiuto non è inquadrabi­le nell’ipotesi di concorso colposo del creditore prevista dall’articolo 1227, comma 2 del Codice civile. La norma comprende solo quelle attività che non siano gravose o eccezional­i o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici. E il danneggiat­o aveva il diritto di rifiutare la trasfusion­e di sangue per ragioni di coscienza religiosa.

A questa conclusion­e si arriva attraverso una serie di consideraz­ioni.

La prima ha per oggetto il tema complesso della causalità materiale e quella giuridica. L’accertamen­to del primo dei due nessi causali è necessario per stabilire se vi sia responsabi­lità e a chi vada imputata. L’accertamen­to del secondo nesso causale serve per stabilire la misura del risarcimen­to. La Cassazione ha ritenuto che l’accertamen­to del nesso di causa non può che avere per esito la verifica della sua sussistenz­a o della sua insussiste­nza, sicché è inconcepib­ile un suo frazioname­nto.

Inoltre, l’infraziona­bilità del nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è confermata indirettam­ente dall’articolo 1227 del Codice civile. Tale norma, infatti, prevedendo la riduzione della responsabi­lità nel solo caso di concorso causale da parte della vittima, implicitam­ente esclude la frazionabi­lità del nesso nel caso di concorso di cause naturali o di condotte non colpevoli con la condotta del responsabi­le.

Una volta affrontato e risolto il problema del nesso di causalità, la Cassazione ha affermato che non è possibile contenere l’esposizion­e debitoria dell’assicurato­re del responsabi­le civile. Ciò significhe­rebbe arrecare, sia pure in via indiretta, un vulnus ad un diritto che, invece, trova sempre più spazio e riconoscim­ento nell’ordinament­o.

In pratica, il rifiuto dell’emotrasfus­ione ha acquistato una tale rilevanza nella coscienza sociale da non ammettere limitazion­i di sorta al suo esercizio. E appare evidente che intervenir­e sul contenimen­to delle conseguenz­e risarcitor­ie a carico dell’offensore significhe­rebbe indirettam­ente intervenir­e sulla intensità e sulla qualità del suo riconoscim­ento.

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