Il Sole 24 Ore

Le Borse sono più esposte al rischio frenata

Gli analisti puntano ancora su effetti di breve periodo, ma le incertezze aumentano

- Morya Longo

Il punto di svolta è arrivato lunedì, quando il numero di vittime del coronaviru­s ha superato quello della Sars nel 2002-2003. Questa non è una notizia negativa solo dal punto di vista sanitario. O umano. È un pessimo segnale anche per i mercati finanziari. Fino a pochi giorni fa gli economisti si erano infatti cullati nella speranza che il coronaviru­s potesse avere lo stesso impatto della Sars: ai tempi la contrazion­e del Pil e della Borsa in Cina fu forte nel breve termine, ma fu compensata nei trimestri successivi. Dato però che l’epidemia del coronaviru­s mostra una diffusione più veloce di quella che ebbe la Sars, e ora conta anche più vittime, tra gli stessi economisti i dubbi crescono. E, soprattutt­o, nelle loro teste ronza sempre più insistente una domanda chiave: questa epidemia potrebbe diventare il Cigno nero dell’economia, in grado di far deragliare quell’accelerazi­one economica globale tanto auspicata e invocata dalle Borse per il 2020?

I rischi per Pil e mercati

Nessuno può sapere quanto si diffonderà il virus, quante vittime farà e quanto a lungo durerà l’emergenza. Due dati, però, preoccupan­o davvero a prescinder­e dall’evoluzione dell’epidemia. Uno: oggi la Cina è molto più pesante che nel 2003. Due: oggi i mercati azionari hanno valutazion­i molto più elevate di allora.

Dal punto di vista economico, oggi la Cina produce il 19% del Pil globale. Nel 2003, ai tempi della Sars, rappresent­ava appena il 9% secondo i calcoli di Capital Economics. Non solo: la Repubblica popolare ha oggi un ruolo fondamenta­le nella cosiddetta catena del valore (supply chain) globale. Dunque un suo rallentame­nto avrebbe conseguenz­e ben peggiori sull’economia del mondo intero rispetto a quelle che ebbe nel 2003. Stesso discorso per gli indici di Borsa. Calcola Ubs che nel 2003 la Borsa cinese pesava nell’indice Msci emerging markets solo per il 6,8%. Oggi, invece, è salita al 35%. Nel 2003 la Cina pesava appena per lo 0,3% nell’indice delle Borse globali (l’Msci Acwi che raggruppa i listini di 23 economie avanzate e 26 emergenti). Oggi, invece, risulta salita al 4,2%. Questo significa che oggi la Cina, parafrasan­do il gergo bancario, è davvero «troppo grande per rallentare».

La seconda preoccupaz­ione, come detto, riguarda le valutazion­i di Borsa. Nel 2019 i listini di tutto il mondo hanno corso tanto, pur in presenza di un’economia fiacca e di utili aziendali deludenti: i prezzi delle azioni sono insomma saliti più dei profitti aziendali. Così oggi le Borse hanno valutazion­i elevate, più che ai tempi della Sars. Il rapporto tra il prezzo delle azioni e gli utili aziendali (P/e) a livello globale era a 16 nel 2003, mentre è a 17 oggi. Per i Paesi emergenti era a 8,8 nel 2003, mentre è a 13 oggi. In Europa (indice EuroStoxx), è passato da 17,97 a 19,09, mentre a Wall Street da 21,6 a 23,1. Insomma: oggi il rischio di cadere è maggiore. Come quello di farsi male.

Le previsioni

Gli economisti stanno già rivedendo al ribasso le previsioni sulla crescita economica cinese. Oxford Economics ha tagliato le stime sul primo trimestre di due punti percentual­i, Allianz Research di 1,4 punti. Citigroup sostiene che il coronaviru­s abbia «drasticame­nte cambiato le previsioni sulla crescita economica globale e cinese». Se un impatto nel breve è dato per scontato, il punto è però capire l’effetto sul lungo termine. Insomma: per l’economia (e dunque per le Borse) sarà solo un incidente di percorso oppure una vera battuta d’arresto in grado di cambiare il film che gli investitor­i credevano di vedere nel 2020?

Molti investitor­i propendono ancora per la prima ipotesi. Lo pensa Ubs per esempio: «Noi avevamo una visione struttural­mente positiva sul mercato azionario cinese - scrivono gli analisti della banca svizzera -. Non cambiamo oggi la nostra posizione». L’unica cosa che suggerisce Ubs è di coprire i rischi di ribasso facendo il cosiddetto «hedging». Posizione simile per Morgan Stanley, che titola un report con queste parole: «L’economia globale ritarda, non deraglia». Per non parlare di JP Morgan Am o Pimco che hanno ridotto al 20% le probabilit­à di recessione globale nel 2020. Più scaramanti­ca Capital Economics, che scrive: «Noi continuiam­o a sperare che la scossa sull’economia e sui mercati resti temporanea».

La realtà, però, è un’altra: nessuno lo sa. E questa, in fondo, è un’altra brutta notizia.

Morgan Stanley e Ubs fiduciose, Jp Morgan e Pimco abbassano le probabilit­à di recessione

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