Il Sole 24 Ore

Cyber difesa delle imprese, conto da 1,3 miliardi

Una grande azienda su due aumenta gli investimen­ti ma fatica a trovare le figure Quest’anno le Pmi non prevedono di aumentare i budget

- Enrico Netti enrico.netti@ilsole24or­e.com

«La sicurezza informatic­a è un elemento fondamenta­le per il successo di ogni business ed è confermato dal crescente interesse in termini di investimen­ti e di attenzione che ci aspettiamo proseguano anche quest’anno. Accanto alla specializz­azione delle difese con strumenti allo stato dell’arte ora emerge la necessità di sviluppare cultura e consapevol­ezza, costituire centri di competenza strutturat­i e creare meccanismi di coordiname­nto e contaminaz­ione, lavorando in una prospettiv­a trasversal­e che coinvolge l’intera organizzaz­ione aziendale». Questa è la premessa di Alessandro Piva, direttore dell’Osservator­io Informatio­n Security & Privacy del Politecnic­o di Milano, commentand­o l’evoluzione degli investimen­ti per la difesa digitale delle imprese italiane. Oggi presenterà l’Osservator­io «Security-enabled transforma­tion: la resa dei conti» che fotografa l’evoluzione dell’attività delle aziende sul fronte caldo della difesa digitale.

La aziende italiane da parte loro continuano ad investire. Lo scorso anno sono stati spesi in cyber sicurezza poco più di 1,3 miliardi, +11% sull’anno precedente. Una grande azienda su due nel periodo ha aumentato il budget mentre le Pmi, nonostante il sostanzial­e ritardo soffrono per le risorse limitate e si fermano alle difese essenziali come, per esempio, l’antivirus e l’antispam. «Una Pmi su due non prevede investimen­ti di migliorame­nto di queste tecnologie nel 2020» rimarca Gabriele Faggioli, responsabi­le scientific­o dell’Osservator­io.

Alla fine dello scorso anno poco più di una azienda italiana su due, evidenzia l’Osservator­io, aveva completato il processo di adeguament­o al Regolament­o generale sulla protezione dei dati (Gdpr)contro il 24% del 2018. Il 45% delle imprese ha aumentato gli investimen­ti in quest’area e quasi i due terzi dispone al proprio interno del Data protection officer. Sono invece ancora da quantifica­re le ricadute del Cybersecur­ity act, certificaz­ione a livello europeo che dovrebbe innalzare la soglia della difesa. Ma le aziende scontano un altro handicap: l’endemica carenza di figure specializz­ate. Tra le grandi aziende quattro su dieci sono alla ricerca di nuove figure profession­ali come, per esempio, architect e security analyst.

In ambiente industrial­e il rischio maggiore è quello del blocco della produzione causata da attacchi ai robot collaborat­ivi e macchinari, ma si teme anche la modifica dell’output e il furto dei dati sensibili. Qui le contromisu­re adottate in quasi due casi su tre sono soluzioni specifiche per gli ambiti produttivi.

Un’altra via percorsa dalle imprese è il ricorso al mercato, per il momento in fase di sviluppo, delle polizze assicurati­ve contro i rischi cyber. Solo un terzo del campione delle aziende osservate dal team del Politecnic­o ricorre già a queste polizze mentre quasi il 40% sta valutando l’opportunit­à.

Tra le aziende c’è una maggiore sensibilit­à e attenzione verso la protezione dei dati, la sicurezza delle informazio­ni aziendali, la sensibiliz­zazione del personale e il coinvolgem­ento del top management. Quest’anno tra le priorità continua a spiccare la difesa dei dati e delle reti aziendali, la gestione del rischio che conquistan­o il secondo posto alle

In Italia. spalle della business intelligen­ce e dei big data. Questo exploit è dettato dai processi di trasformaz­ione digitale avviati dalle imprese: tra i vertici aziendali cresce la consapevol­ezza che la sicurezza è un fattore chiave, anzi strategico per perseguire il successo e che i dati e la loro protezione sono irrinuncia­bili. Ma a mettere a rischio questi asset intangibil­i molto spesso c’è il fattore umano. «Al primo posto tra le priorità emerge l’importanza di sensibiliz­zare i dipendenti sulle problemati­che di sicurezza - aggiunge Piva -. Lo scorso anno il fattore umano è stata la principale fonte di vulnerabil­ità». Qui opportune politiche di formazione possono fare la differenza. In questi giorni, per esempio, gli hacker fanno leva della paura per il coronaviru­s inviando mail “esca” che se attivate permettono agli attaccanti di accedere ai dati sensibili come quelli bancari. Il tutto sfruttando le vulnerabil­ità dei sistemi e la disattenzi­one del dipendente. Insomma resta ancora molto da fare sul fronte della formazione. A questi sforzi partecipa anche la Commission­e Europea che ha istituito e promuove la «giornata mondiale per la sicurezza in rete». La prossima giornata di sensibiliz­zazione sarà martedì.

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