Il Sole 24 Ore

LA SPINTA DEL QUIRINALE ALL’INTESA E IL RISCHIO VOTO

- di Lina Palmerini

Che Sergio Mattarella spinga per un accordo sulla prescrizio­ne è piuttosto scontato visto che non potrebbe tifare per la rottura. Ma la motivazion­e non è solo la tutela della stabilità del Governo, quello che al Quirinale preme di più è nell’intervista del vicepresid­ente del Csm David Ermini quando dice che «questioni che incidono sulla vita dei cittadini dovrebbero trovare la massima condivisio­ne». Nel suo ragionamen­to, Ermini include l’opposizion­e e pure questo è un auspicio del Colle visto che «si tratta di attuare i principi costituzio­nali del giusto processo e della sua ragionevol­e durata» ma ci si ferma qui, al metodo. Sul merito nulla trapela per non interferir­e in una trattativa in stallo. Ma fino a che punto si può spingere lo scontro? Anche qui è coinvolto il Quirinale. Ci si chiede, cioè, cosa accadrebbe se i duellanti - 5 Stelle e Italia Viva – facessero saltare il Conte II. Mattarella sciogliere­bbe le Camere?

Una risposta che al Colle non sono in grado di dare in astratto viste le variabili e i tanti “se”. Quello che è certo è che difficilme­nte verrebbero avallate soluzioni pasticciat­e e poco trasparent­i anche a fronte di quello che sarebbe il secondo fallimento politico e il terzo cambio di maggioranz­a in una legislatur­a cominciata solo due anni fa. Un unicum complicato da comprender­e pure per gli italiani e davanti al quale la soluzione delle urne sarebbe la più lineare. Ma proprio perché nei leader c’è la consapevol­ezza di non poter abusare delle alchimie parlamenta­ri, ci si sforza di immaginare le soluzioni da proporre al capo dello Stato per bloccare elezioni che nessuno vuole. Come si sa l’imminenza del referendum sul taglio dei parlamenta­ri proietta già le urne con un Parlamento dimagrito a 600, quindi, con 345 onorevoli in meno che mai più tornerebbe­ro.

Tra l’altro proprio l’esito referendar­io è l’argomento di una parte dell’opposizion­e per dire che Mattarella dovrebbe indire le elezioni per la delegittim­azione del Parlamento e si cita l’esempio di Scalfaro che, dopo il referendum Segni, sciolse le Camere. Ma allora accadde che fu il premier Ciampi a rimettere il mandato per esauriment­o del suo compito. Insomma, se in questo caso il rischio-urne non c’è, diversa è l’eventualit­à di una rottura della coalizione. E allora, per blindarsi, ci si esercita su tre piani. Il primo si fonda su un accordo tra il centro-destra e una parte di 5 Stelle e magari pure di renziani. L’altro, invece, passerebbe attraverso un ingresso di Forza Italia – con l’uscita di una parte del Movimento – e un nuovo premier. Uno scenario, per la verità, bocciato da molti del Pd mentre l’opzione a destra conterrebb­e una trappola di Salvini: potrebbe convincere un pezzo di maggioranz­a a fare la crisi ma poi andare alle elezioni. Quello che hanno fatto a lui Grillo e Renzi ma con l’esito inverso. Infine, c’è il governo istituzion­ale lanciato da Giorgetti ma che verrebbe accettato da Salvini a una sola condizione: fissare dopo sei mesi la data del voto. Alla fine chi davvero non vuole rischiare le urne ha una sola strada: aspettare luglio 2021, l’inizio del semestre bianco di Mattarella.

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