LA SPINTA DEL QUIRINALE ALL’INTESA E IL RISCHIO VOTO
Che Sergio Mattarella spinga per un accordo sulla prescrizione è piuttosto scontato visto che non potrebbe tifare per la rottura. Ma la motivazione non è solo la tutela della stabilità del Governo, quello che al Quirinale preme di più è nell’intervista del vicepresidente del Csm David Ermini quando dice che «questioni che incidono sulla vita dei cittadini dovrebbero trovare la massima condivisione». Nel suo ragionamento, Ermini include l’opposizione e pure questo è un auspicio del Colle visto che «si tratta di attuare i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata» ma ci si ferma qui, al metodo. Sul merito nulla trapela per non interferire in una trattativa in stallo. Ma fino a che punto si può spingere lo scontro? Anche qui è coinvolto il Quirinale. Ci si chiede, cioè, cosa accadrebbe se i duellanti - 5 Stelle e Italia Viva – facessero saltare il Conte II. Mattarella scioglierebbe le Camere?
Una risposta che al Colle non sono in grado di dare in astratto viste le variabili e i tanti “se”. Quello che è certo è che difficilmente verrebbero avallate soluzioni pasticciate e poco trasparenti anche a fronte di quello che sarebbe il secondo fallimento politico e il terzo cambio di maggioranza in una legislatura cominciata solo due anni fa. Un unicum complicato da comprendere pure per gli italiani e davanti al quale la soluzione delle urne sarebbe la più lineare. Ma proprio perché nei leader c’è la consapevolezza di non poter abusare delle alchimie parlamentari, ci si sforza di immaginare le soluzioni da proporre al capo dello Stato per bloccare elezioni che nessuno vuole. Come si sa l’imminenza del referendum sul taglio dei parlamentari proietta già le urne con un Parlamento dimagrito a 600, quindi, con 345 onorevoli in meno che mai più tornerebbero.
Tra l’altro proprio l’esito referendario è l’argomento di una parte dell’opposizione per dire che Mattarella dovrebbe indire le elezioni per la delegittimazione del Parlamento e si cita l’esempio di Scalfaro che, dopo il referendum Segni, sciolse le Camere. Ma allora accadde che fu il premier Ciampi a rimettere il mandato per esaurimento del suo compito. Insomma, se in questo caso il rischio-urne non c’è, diversa è l’eventualità di una rottura della coalizione. E allora, per blindarsi, ci si esercita su tre piani. Il primo si fonda su un accordo tra il centro-destra e una parte di 5 Stelle e magari pure di renziani. L’altro, invece, passerebbe attraverso un ingresso di Forza Italia – con l’uscita di una parte del Movimento – e un nuovo premier. Uno scenario, per la verità, bocciato da molti del Pd mentre l’opzione a destra conterrebbe una trappola di Salvini: potrebbe convincere un pezzo di maggioranza a fare la crisi ma poi andare alle elezioni. Quello che hanno fatto a lui Grillo e Renzi ma con l’esito inverso. Infine, c’è il governo istituzionale lanciato da Giorgetti ma che verrebbe accettato da Salvini a una sola condizione: fissare dopo sei mesi la data del voto. Alla fine chi davvero non vuole rischiare le urne ha una sola strada: aspettare luglio 2021, l’inizio del semestre bianco di Mattarella.