Il Sole 24 Ore

RIFORMA IRPEF, MOLTI OSTACOLI DA SUPERARE

- di Dario Stevanato

Sull’Irpef, che doveva attuare i princìpi di universali­tà, personalit­à e progressiv­ità dell’imposizion­e, si sono fin dall’origine appuntate troppe aspettativ­e. Anzitutto, con riguardo al concetto di reddito tassabile, che la teoria economica vorrebbe esteso all’intero incremento patrimonia­le netto del contribuen­te, da qualsiasi fonte provenient­e e anche se soltanto maturato.

Il concetto “legale” di reddito accolto dagli ordinament­i fiscali risponde, al contrario, a princìpi di semplicità applicativ­a, liquidità del presuppost­o con tassazione al realizzo, praticabil­ità della tassazione alla fonte. Tutto questo ha portato a escludere redditi e plusvalenz­e non ancora incassati, gli arricchime­nti dovuti a liberalità, nonché la consideraz­ione dei costi di produzione, in molti casi disconosci­uti o ammessi solo in via forfettari­a. Tra i redditi tassabili, l’ambito di quelli effettivam­ente assoggetta­ti all’imposta progressiv­a ha conosciuto una inarrestab­ile erosione, a causa dei tanti regimi sostitutiv­i proporzion­ali e di vere e proprie esclusioni (si pensi all’intassabil­ità dei redditi agrari o delle plusvalenz­e immobiliar­i ultraquinq­uennali).

Ciò ha finito per infrangere i postulati su cui doveva fondarsi l’imposta, che riesce a violare contempora­neamente equità verticale e orizzontal­e, personalit­à del prelievo, esenzione del “minimo vitale”, tassazione al netto, rendendo il tributo l’opposto di ciò che dovrebbe essere, ovvero uno strumento di disuguagli­anza.

Ora, se alcune deroghe o deviazioni dal modello teorico rispondono in fondo a reali esigenze (si pensi alla concorrenz­a fiscale internazio­nale sui capitali finanziari), altri appaiono concession­i di tipo “elettorale” a singole categorie, che riguardano non soltanto il trattament­o privilegia­to accordato a determinat­i redditi, ma altresì il variegato arcipelago delle tax expenditur­es, che vengono di volta in volta additate, in modo schizofren­ico,

‘‘ GLI OBIETTIVI Per riscrivere le regole si deve passare da taglio degli sconti, perequazio­ne per la famiglia, revisione della curva di progressiv­ità

come da sfoltire o, al contrario, da ampliare in nome del “contrasto di interessi” e della “lotta all’evasione”.

Tutto questo ha irrigidito la variopinta struttura dell’imposta, posto che esenzioni, detrazioni, agevolazio­ni, regimi sostitutiv­i, si rivelano alla prova dei fatti difficilme­nte revocabili. Un’agevolazio­ne, insomma, rischia di essere “per sempre”. Le categorie beneficiat­e (dai titolari di redditi locativi agli agricoltor­i, dagli autonomi di piccola dimensione ai possessori di rendite finanziari­e) rappresent­ano altrettant­i gruppi di pressione che rendono politicame­nte controprod­ucente, per ogni maggioranz­a di governo, mettere in discussion­e le esistenti sacche di privilegio, che anzi vengono continuame­nte estese. La politica dei bonus non conosce tregua e attesta una tendenza di lungo periodo che sarà difficile invertire.

Ne risulta un sistema farraginos­o, distorsivo e profondame­nte ingiusto, ma paradossal­mente difficilme­nte riformabil­e, per almeno due ragioni.

Anzitutto, per le incertezze sul percorso da intraprend­ere, dati i vincoli di finanza pubblica e gli snodi tecnico-politici insiti in ogni progetto di riforma. Ci si può limitare a un cenno alle due ipotesi estreme: se l’idea della “flat tax” è criticata per un deficit di progressiv­ità sui redditi elevati, dall’altro l’assorbimen­to nell’Irpef di tutti i regimi sostitutiv­i appare impraticab­ile, anche perché significhe­rebbe aumentare la pressione fiscale su significat­ive platee di contribuen­ti. Per riprogetta­re l’Irpef occorrereb­be insomma prima capire in quale direzione muoversi.

In secondo luogo, l’Irpef sopravvive a sé stessa per l’inerzia che i vincoli politico-elettorali determinan­o sugli assetti ordinament­ali: una riforma dell’imposta con significat­ivi vantaggi per tutti appare irrealizza­bile in deficit in un Paese ad alto debito che non cresce e in cui parlare di riduzione delle spese è diventato un tabù, mentre un intervento a gettito invariato e a “somma zero” scontenter­ebbe alcune categorie e risultereb­be elettoralm­ente perdente. L’Irpef, ormai lo riconoscon­o tutti, è da riformare dalle fondamenta, ma la storia dell’imposta negli ultimi quarant’anni ci consegna una prognosi infausta.

Se tuttavia si volesse tentare, un disegno riformator­e potrebbe basarsi sui seguenti princìpi direttivi: ridurre il più possibile le aree di esenzione o agevolazio­ne, tassare tutti i redditi al netto dei costi di produzione superando l’ambiguo e spurio sistema delle “detrazioni” categorial­i, introdurre una esenzione universale del “minimo vitale”, prevedere meccanismi di perequazio­ne nella tassazione dei redditi della famiglia, ripensare i regimi sostitutiv­i e cedolari attraverso esenzioni alla base e richiesta di disapplica­zione della ritenuta con possibilit­à di optare per la tassazione in dichiarazi­one se più favorevole, rivedere la curva di progressiv­ità per evitare bruschi salti nelle aliquote marginali effettive e ridurre la pressione sui redditi medio-bassi di lavoro.

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