BANCHE EFFICIENTI PER RILANCIARE L’ECONOMIA
Da alcuni anni, le banche europee continuano a operare tra tassi d’interesse negativi, crescita economica e inflazione molto basse. Il tutto accompagnato da un cambiamento tecnologico già iniziato, fondato sui dati e sull’intelligenza artificiale. In parallelo a queste tendenze, è in atto il progresso verso l’unione bancaria, al momento concentrato sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità.
Come si muovono le banche italiane in questo contesto? Il tema è finanziario, ma fondamentale per l’economia reale. In Italia, il credito è erogato principalmente attraverso il canale bancario, che rappresenta l’85% del totale; il mercato dei capitali è poco sviluppato; le imprese sono piccole, e quindi il sistema economico è necessariamente banco-centrico. Nel continente, soltanto l’economia della Germania è fondata in egual misura sulle banche, che incanalano l’86% del credito.
I tassi di interesse bassi o negativi, la tecnologia e l’unione bancaria rappresentano un nuovo paradigma a cui dovremo adattarci in modo permanente. Ma che si tratti di fattori transitori o strutturali, questi cambiamenti mettono forte pressione sui ricavi, sui bilanci e sull’organizzazione delle banche.
In questi anni gli istituti di credito italiani, rispetto ai concorrenti, hanno fatto molti progressi sia sul piano del capitale, dove hanno chiuso il gap con le banche europee, se pure spesso cedendo fabbriche-prodotto cruciali per la crescita; sia sulla struttura dei ricavi, dove la quota degli introiti da commissione supera di dieci punti i principali Paesi europei e rappresenta poco meno del 40% del totale; la riduzione dei costi, per converso appare ancora inferiore alla media. Sul piano dei bilanci la riduzione dei prestiti cattivi è stata obiettivamente forte, e molto superiore alla pulizia dei bilanci effettuata nella media europea.
L’adeguamento al nuovo paradigma è stato nell’insieme soddisfacente, anche se la regolamentazione e i media europei hanno talvolta dato l’impressione che le banche italiane fossero nel mirino, a partire dagli stress test e dalla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), concentrata sui titoli sovrani e più “distratta” sugli attivi illiquidi (level 3).
Ma la domanda fondamentale che dobbiamo porci è se questi cambiamenti siano desiderabili e se non stiano avvenendo troppo rapidamente.
Se guardiamo le questioni a livello europeo la risposta, nonostante le possibili asimmetrie, che vanno corrette, pare positiva: l’unione bancaria e le aggregazioni crossborder tra banche avverranno soltanto se si riduce il rischio. Ma la risposta pare positiva anche in base a ragionamenti puramente domestici e in base a un criterio evoluzionista.
Secondo una recente analisi di
McKinsey, nel mondo il 20% per cento delle banche genera quasi il 100% del valore aggiunto complessivo del settore: e per essere nel gruppo di testa bisogna essere grandi e forti e competere in mercati profittevoli per geografia e segmento di clientela. L’analisi di questo gruppo di banche leader mostra un’ampia quota di mercato, nel Paese di riferimento, e la capacita di reinvestire i profitti nelle nuove tecnologie. A seguire c’è un altro 25% di banche che “tengono la posizione” mentre la maggioranza di banche è obiettivamente a rischio. In Italia, le banche leader si contano sulle dita di una mano.
La relazione positiva tra dimensioni e la capacità di essere profittevoli, negata per anni, appare oggi legata al potere di mercato, ai costi di ristrutturazione e alle necessità di investire amplissime risorse nelle tecnologie. Se confrontiamo il ritmo dei cambiamenti europei con quello nel sistema bancario statunitense, emerge la superiorità dell’approccio americano dove il supporto pubblico è stato più rapido e profondo, creando di fatto un vantaggio competitivo per le banche di quell’area a scapito di quelle europee
L’Europa, nonostante i profondi cambiamenti, ha perso terreno e appare tuttora frenata dalla natura idiosincratica dei propri sistemi bancari. Gli interessi italiani in Europa vanno difesi con decisione a partire dalla riforma del Mes e dalle regolamentazioni che saranno introdotte dalla Banca centrale europea. Ma rallentare i cambiamenti e osteggiare le pressioni non può essere una soluzione, perché l’efficienza del sistema bancario è cruciale nell’influenzare la capacita di un Paese di far ripartire crescita. Non è certamente un obiettivo fine a sé stesso, soprattutto in un’economia banco-centrica.