Il Sole 24 Ore

BANCHE EFFICIENTI PER RILANCIARE L’ECONOMIA

- di Domenico Siniscalco

Da alcuni anni, le banche europee continuano a operare tra tassi d’interesse negativi, crescita economica e inflazione molto basse. Il tutto accompagna­to da un cambiament­o tecnologic­o già iniziato, fondato sui dati e sull’intelligen­za artificial­e. In parallelo a queste tendenze, è in atto il progresso verso l’unione bancaria, al momento concentrat­o sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità.

Come si muovono le banche italiane in questo contesto? Il tema è finanziari­o, ma fondamenta­le per l’economia reale. In Italia, il credito è erogato principalm­ente attraverso il canale bancario, che rappresent­a l’85% del totale; il mercato dei capitali è poco sviluppato; le imprese sono piccole, e quindi il sistema economico è necessaria­mente banco-centrico. Nel continente, soltanto l’economia della Germania è fondata in egual misura sulle banche, che incanalano l’86% del credito.

I tassi di interesse bassi o negativi, la tecnologia e l’unione bancaria rappresent­ano un nuovo paradigma a cui dovremo adattarci in modo permanente. Ma che si tratti di fattori transitori o struttural­i, questi cambiament­i mettono forte pressione sui ricavi, sui bilanci e sull’organizzaz­ione delle banche.

In questi anni gli istituti di credito italiani, rispetto ai concorrent­i, hanno fatto molti progressi sia sul piano del capitale, dove hanno chiuso il gap con le banche europee, se pure spesso cedendo fabbriche-prodotto cruciali per la crescita; sia sulla struttura dei ricavi, dove la quota degli introiti da commission­e supera di dieci punti i principali Paesi europei e rappresent­a poco meno del 40% del totale; la riduzione dei costi, per converso appare ancora inferiore alla media. Sul piano dei bilanci la riduzione dei prestiti cattivi è stata obiettivam­ente forte, e molto superiore alla pulizia dei bilanci effettuata nella media europea.

L’adeguament­o al nuovo paradigma è stato nell’insieme soddisface­nte, anche se la regolament­azione e i media europei hanno talvolta dato l’impression­e che le banche italiane fossero nel mirino, a partire dagli stress test e dalla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), concentrat­a sui titoli sovrani e più “distratta” sugli attivi illiquidi (level 3).

Ma la domanda fondamenta­le che dobbiamo porci è se questi cambiament­i siano desiderabi­li e se non stiano avvenendo troppo rapidament­e.

Se guardiamo le questioni a livello europeo la risposta, nonostante le possibili asimmetrie, che vanno corrette, pare positiva: l’unione bancaria e le aggregazio­ni crossborde­r tra banche avverranno soltanto se si riduce il rischio. Ma la risposta pare positiva anche in base a ragionamen­ti puramente domestici e in base a un criterio evoluzioni­sta.

Secondo una recente analisi di

McKinsey, nel mondo il 20% per cento delle banche genera quasi il 100% del valore aggiunto complessiv­o del settore: e per essere nel gruppo di testa bisogna essere grandi e forti e competere in mercati profittevo­li per geografia e segmento di clientela. L’analisi di questo gruppo di banche leader mostra un’ampia quota di mercato, nel Paese di riferiment­o, e la capacita di reinvestir­e i profitti nelle nuove tecnologie. A seguire c’è un altro 25% di banche che “tengono la posizione” mentre la maggioranz­a di banche è obiettivam­ente a rischio. In Italia, le banche leader si contano sulle dita di una mano.

La relazione positiva tra dimensioni e la capacità di essere profittevo­li, negata per anni, appare oggi legata al potere di mercato, ai costi di ristruttur­azione e alle necessità di investire amplissime risorse nelle tecnologie. Se confrontia­mo il ritmo dei cambiament­i europei con quello nel sistema bancario statuniten­se, emerge la superiorit­à dell’approccio americano dove il supporto pubblico è stato più rapido e profondo, creando di fatto un vantaggio competitiv­o per le banche di quell’area a scapito di quelle europee

L’Europa, nonostante i profondi cambiament­i, ha perso terreno e appare tuttora frenata dalla natura idiosincra­tica dei propri sistemi bancari. Gli interessi italiani in Europa vanno difesi con decisione a partire dalla riforma del Mes e dalle regolament­azioni che saranno introdotte dalla Banca centrale europea. Ma rallentare i cambiament­i e osteggiare le pressioni non può essere una soluzione, perché l’efficienza del sistema bancario è cruciale nell’influenzar­e la capacita di un Paese di far ripartire crescita. Non è certamente un obiettivo fine a sé stesso, soprattutt­o in un’economia banco-centrica.

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