Ex Ilva, Arcelor a novembre può lasciare
Verso intesa tra Stato e Am Accordo impostato da Conte e Gualtieri, dubbi del Mise Alcuni punti ancora aperti, uscita possibile da novembre pagando mezzo miliardo
Serve ancora tempo per arrivare a un accordo completo sull’ex Ilva ma la cornice su diversi punti sarebbe ormai pronta. Sarà determinante il via libera del ministero dello Sviluppo ai commissari straordinari affinché accettino un rinvio per continuare il negoziato con l’azienda. Il ministro grillino Stefano Patuanelli avrebbe sollevato dubbi su alcune condizioni economiche poste da ArcelorMittal e che invece sarebbero state sostanzialmente accettate da Palazzo Chigi e dal ministero dell’Economia, soprattutto per quanto riguarda il dimezzamento del canone di affitto in capo all’azienda (da 15 a 7,5 milioni al mese) e il corrispettivo da pagare per l’acquisto finale. Nella preintesa ci sarebbe anche la previsione di una clausola di uscita a favore della multinazionale.
Nella tarda serata di ieri il confronto è proseguito e potrebbero essere decisive le prime ore di questa mattina. Una volta sciolti i dubbi di Patuanelli, oggi dovrebbe essere chiesto al giudice Claudio Marangoni del Tribunale di Milano un rinvio dell’udienza (tra 2 settimane e un mese). Difficilmente comunque si arriverà già a un accordo firmato tra le parti (per Mittal sono in campo Roberto Bonsignore, Giuseppe Scassellati e Ferdinando Emanuele di Cleary, per i commissari straordinari Giuseppe
Lombardi di Bonelli Erede ed Enrico Castellani di Freshfields): l’idea è argomentare i punti di allineamento tenendosi le mani libere per definire poi nel dettaglio un vero documento come addendum al contratto.
Del resto non c’è ancora piena intesa sulla questione degli esuberi, in merito al numero esatto di lavoratori che potranno essere riassorbiti dopo il periodo di cassa integrazione che garantirà lo Stato, e resta il complicato tema politico dell’immunità penale. Le prossime settimane saranno decisive anche per mettere a punto una possibile norma in forme digeribili dai Cinque Stelle, il partito del ministro Patuanelli, da far votare come emendamento al decreto Taranto più volte annunciato e ancora atteso al consiglio dei ministri.
Tornando agli aspetti economici, per ora non è stato definito l’ingresso dello Stato nella holding AmInvestco dal momento che non è stato concordato il valore della società e non c’è una decisione sul soggetto da coinvolgere (Invitalia, Cassa depositi e prestiti o una partecipata di quest’ultima). Nella nuova società (“Greenco”), che si occuperà solo del preridotto, entrerà lo Stato e non ArcelorMittal, mentre in capo a quest’ultima saranno i nuovi forni elettrici. Fissata anche la data entro cui ArcelorMittal può uscire: dal 1° o dal 30 novembre 2020 versando mezzo miliardo di euro (400 milioni di euro cash e 100 milioni di euro di valore di magazzino). Una clausola che a qualcuno lascia presagire una soluzione ponte, per poi passare a un assetto futuro del tutto nuovo dell’ex Ilva,a quel punto a controllo pubblico.
Al momento, a valle del rinvio dell’udienza, si prevede una nuova tornata del negoziato. Con l’addendum al contratto ArcelorMittal dovrebbe ritirare l’atto di citazione - dove ha ufficializzato il recesso da Ilva - verso i commissari straordinari e come conseguenza decadrebbe il ricorso cautelare urgente depositato da questi ultimi verso la multinazionale allo scopo di impedirne l’uscita. La lunga giornata di ieri ha visto Aditya Mittal, presidente del gruppo e figlio del fondatore, auspicare un accordo tra parti, così come aveva fatto Conte il 4 febbraio a Londra incontrando i Mittal. Nella presentazione agli analisti finanziari dei dati di bilancio 2019, che vede un “rosso” di 2,5 miliardi di dollari, Aditya si è augurato «ulteriori passi avanti» affermando che «siamo tutti al lavoro per trovare una soluzione sostenibile». La questione, ha ammesso, è «complessa» ma nell’ultimo incontro col premier Conte «ci sono stati dei progressi». Conte, invece, ieri al Senato ha ribadito che il governo sta valutando la possibilità di usare una parte delle risorse Ue del Just Transition Fund destinato alla decarbonizzazione per il polo dell’acciaio di Taranto, probabilmente per la cosiddetta Greenco.