Crescita frenata e riforme, i conti tornano solo con l’Iva
Nella marcia di avvicinamento al Documento di economia e finanza che il Governo approverà entro il 10 aprile si fa strada una constatazione: stando all’attuale andamento dell’economia (la Commissione europea dirà la sua il 13 febbraio) il Pil viaggia quest’anno non oltre lo 0,5% (se andrà bene), contro lo 0,2% atteso per il 2019 (la contrazione dello 0,3% nell’ultimo trimestre è un segnale da non sottovalutare). La frenata del ciclo economico internazionale, già in atto dalla metà dello scorso anno e ora ancor più marcata per effetto dell’epidemia da coronavirus esplosa in Cina (con l’economia cinese in contrazione per almeno lo 0,6-0,7% rispetto alla precedente stima del 6%) rischia di ridurre i già ristretti spazi di bilancio a disposizione per la prossima manovra. Se si considera – come ribadirà il Def – che i conti pubblici partono ancora una volta appesantiti da ben 20 miliardi di clausole Iva da disinnescare, per mantenere il deficit su una traiettoria che comunque collochi l’asticella nei dintorni del 2% una delle strade da percorrere passa attraverso l’aumento “mirato e selettivo” dell’Iva. Argomento politicamente molto sensibile, se si prende atto della persistente contrarietà di buona parte della maggioranza di governo ad incrementi dell’imposizione indiretta. Nelle simulazioni in atto si ipotizza (come avvenne nel settembre/ottobre dello scorso anno) un intervento “mirato e selettivo”, così da contribuire al finanziamento della riforma fiscale che ieri è stata oggetto di un primo confronto politico all’interno della maggioranza. L’obiettivo è varare il ddl delega entro fine aprile, per poi avviare l’iter con i relativi decreti legislativi. Ma – come ha lasciato intendere il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri – sul tema delle coperture occorre procedere con la massima cautela, come mostra la vicenda del taglio del cuneo fiscale (in vigore dal 1° luglio con una dote di 3 miliardi, che saliranno a 5 miliardi dal 2021). Prima o dopo, del resto, la questione delle clausole Iva andrà affrontata con decisione per non compromettere le prossime manovre di bilancio. Se si guarda al recente passato, con la sola esclusione del governo Gentiloni che l’aveva ridotto a poco più di 12 miliardi, il peso delle clausole di salvaguardia è costantemente lievitato, fino a raggiungere i 23,1 miliardi che il governo Conte2 ha deciso di neutralizzare integralmente per l’anno in corso. Nel 2021-2022 il conto complessivo si attesta al momento in 47,1 miliardi. Un fardello che limita drasticamente gli spazi a disposizione, a dispetto di quanto prevede la più recente riforma della contabilità pubblica. In contemporanea, si aprirà tra breve la partita su come agganciare il treno della revisione del Patto di stabilità annunciato due giorni fa dal vice presidente esecutivo della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, e dal commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni. Ed è una partita che si giocherà in gran parte sul fronte degli investimenti “green” e diretti al sostegno delle tecnologie digitali. Effetti recessivi da un aumento “selettivo” dell’Iva sono al momento calcolati in un margine non rilevante. Si proverebbe a spingere sull’inflazione (lontana dal target Bce del 2%) con un impatto anche sul debito pubblico, calcolato in termini nominali. Mettere mano contestualmente all’Irpef e all’Iva conferirebbe all’intero disegno riformatore un ampio e strutturale respiro, che andrebbe rafforzato con il potenziamento della lotta all’evasione fiscale, in linea con i buoni risultati della fatturazione elettronica. Più Iva per finanziare la riduzione dell’Irpef: una strada che sarebbe opportuno percorrere.