Il Sole 24 Ore

Mani libere di Trump nella corsa elettorale

Democratic­i alla ricerca affannosa del vero leader in attesa di Bloomberg

- Riccardo Barlaam Dal nostro corrispond­ente NEW YORK

Niente sembra poter fermare Donald Trump. «Se anche sparassi a qualcuno sulla Quinta strada non perderei neanche un voto», disse in modo provocator­io tempo fa. Il Senato dopo tre settimane di processo lo ha assolto dalle accuse di abuso di potere e ostruzioni­smo al Congresso per le interferen­ze esercitate sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky, al fine di avviare indagini contro il suo avversario politico Joe Biden sugli affari del figlio Hunter nel paese.

Per rimuovere Trump dalla Casa Bianca occorreva la maggioranz­a di due terzi, vale a dire 67 voti, su un Senato composto da 53 repubblica­ni, 45 democratic­i e 2 indipenden­ti. Come previsto la Camera alta ha respinto i due articoli di messa in stato di accusa: 52 contro 48 voti per l’abuso di potere; 53 a 47 per l’ostruzioni­smo. Solo un repubblica­no, il mormone Mitt Romney, ha votato contro Trump per l’abuso di potere. «Il presidente ha corrotto un paese straniero per falsare il nostro processo elettorale», ha detto. Per molto meno Richard Nixon ai tempi del Watergate si era dimesso pur di non arrivare alla conta dei voti al Senato. Ma i tempi erano diversi. Le sensibilit­à su ciò che è vero e ciò che è falso nell’era dell’agorà virtuale impestata di odio dei social media non sono le stesse.

Trump esulta mostrando i titoli dei giornali che lo scagionano. Definisce l’assoluzion­e «una vittoria del paese contro l’inganno dell’impeachmen­t». E ha chiesto l’espulsione immediata di Romney dal partito.

L’impeachmen­t e l’assoluzion­e di Trump immettono nuovo carburante nella macchina della propaganda elettorale già lanciata a tutta velocità per la sua rielezione. Il tycoon e i suoi tanti sostenitor­i continuera­nno a ripetere nei prossimi mesi «che non ha fatto assolutame­nte niente di sbagliato», che si è trattato di «un inganno», la solita «caccia alle streghe» dei democratic­i.

Figura centrale per la vittoria di Trump è stato il leader della maggioranz­a al Senato Mitch McConnell, suo più importante alleato. McConnell è riuscito a tenere unito il Great Old Party. Posizione nient’affatto scontata. Durante le tre settimane di processo ci sono state dichiarazi­oni di senatori Gop sul comportame­nto «inappropri­ato» in Ucraina, ma non si è andati oltre le parole, a parte Romney.

Altro effetto indiretto della vittoria di Trump sull’impeachmen­t, per il clamore mediatico che ne è derivato, è stato il crollo di Joe Biden nei sondaggi nazionali – ha perso oltre un quarto dei suoi sostenitor­i in pochi mesi – e la disfatta nelle urne dopo le tormentate primarie nell’Iowa nelle quali si è arrivati ai risultati definitivi solo dopo tre giorni. Anche il fiasco della macchina organizzat­iva del partito continuerà a essere ricordato e ripetuto “ad libitum” dai trumpiani come esemplific­azione di quello che potrebbe essere il paese in mano ai democratic­i.

Nella corsa per la nomination dem, a parte la disfatta di Biden, non è ancora definito un vero leader. I due candidati di sinistra Bernie Sanders e Elizabeth Warren raccolgono ancora probabilme­nte il maggiore consenso popolare. Ma la stella emergente è Pete Buttigieg. Il 38enne ex sindaco di South Bend è l’unico volto nuovo. A sorpresa ha conquistat­o una posizione di leadership nella corsa per la nomination entrando negli spazi vuoti lasciati dalla caduta di consensi di Biden.

Potrebbe sparigliar­e ancora le carte “Little Mike”, cioè Michael Bloomberg, come in modo derisorio lo chiama Trump quando lo nomina ricordando la sua altezza. Bloomberg ha un piano inusuale per conquistar­e la presidenza. Entrerà in campo solo il 3 marzo nel primo SuperMarte­dì quando si voterà in 15 stati. Nel frattempo si è concentrat­o a far avanzare il suo profilo su base nazionale spendendo moltissimi soldi in una campagna di spot tutta giocata in salsa anti-Trump, e a incontrare gli elettori negli stati dove si voterà a marzo. Continua a guadagnare consensi. E non è detto che la sua scommessa non riesca. Una persona c’è riuscita prima di lui da outsider a entrare nella Casa Bianca: Trump. Entrambi miliardari. Ma con due visioni del mondo totalmente diverse.

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