Virus, primo caso africano: in Egitto cittadino straniero risultato positivo
La Cina respinge i carichi, le navi non riescono a consegnare perché i porti del Paese operano a rilento Il trasporto marittimo delle merci su numerose rotte non ripaga più i costi operativi
Primo caso di coronavirus in Africa. Si tratta di un cittadino straniero e si trova in Egitto, Paese che ieri sera ha confermato ufficialmente la notizia. Il paziente è stato subito messo in isolamento in ospedale. Il ministero della Salute egiziano ha anche dichiarato di avere immediatamente informato l’Organizzazione mondiale della sanità.
Al centro della crisi soprattutto i carichi secchi: il Baltic Capesize Index per la prima volta è sotto zero
L’epidemia in Cina ha inferto un colpo durissimo al settore dei trasporti marittimi, provocando un crollo dei noli a livelli insostenibili per alcune categorie di prodotti: l’indice riferito alle Capesize, grandi navi che trasportano carici secchi, come ferro, carbone e cereali, da qualche giorno è addirittura sotto zero, una cosa che non era mai accaduta in precedenza. Le società che trasportano container stanno subendo una riduzione dei volumi per 350 milioni di dollari la settimana, stima Sea Intelligence. E ad aggravare le difficoltà degli armatori c’è anche la frenata dei cantieri navali cinesi: almeno 200 navi oggi in costruzione o in riparazione nel Paese asiatico subiranno forti ritardi nella consegna, stima Paolo d’Amico, presidente di Intertanko, e si ha già notizia di numerosi cantieri che hanno già invocato la «forza maggiore» per l’impossibilità ad adempiere ai contratti. Alla stessa clausola hanno fatto ricorso anche acquirenti cinesi di gas naturale liquefatto, sostenendo di non poter ricevere – né reindirizzare altrove, evidentemente – carichi ordinati prima che esplodesse l’emergenza del coronavirus.
Almeno 12 metaniere vuote sono attualmente “parcheggiate” al largo del Qatar, secondo Bloomberg, in attesa di ordini che non arrivano o che non convengono, visto che il crollo degli acquisti cinesi ha spinto il prezzo del Gnl in Asia ai minimi storici, sotto 3 $/MMbtu. Altre 15 metaniere sono oggi utilizzate in giro per il mondo come stoccaggi galleggianti, afferma Kpler: un fenomeno davvero raro nel caso del Gnl, che è più costoso e pericoloso da conservare a bordo di navi rispetto al petrolio. Il combustibile, se conservato a lungo, rischia una parziale evaporazione.
In questo momento ci sono decine di navi cariche di materie prime costrette a rimanere ferme all’ancora o a rallentare la navigazione. Alcune sono sono in quarantena (Australia e Singapore vietano l’attracco a chi ha toccato un porto cinese nei 14 giorni precedenti), altre sono in attesa di un acquirente alternativo dopo che Pechino ha respinto il carico. Altre ancora aspettano semplicemente di riuscire a consegnare. Le misure per contenere il contagio hanno rallentato gli scali marittimi cinesi, che oggi operano a una capacità ridotta del 2050% rispetto al normale secondo lo Shaghai International Shipping Institute. I limiti alla circolazione e la chiusura in quarantena di ampie zone del Paese hanno impedito a parte del personale il rientro dalle ferie e stanno ostacolando l’arrivo di Tir e autocisterne per portare via merci e prodotti: i magazzini dei porti si stanno riempiendo, facendo temere un’ulteriore frenata delle operazioni di carico e scarico.
Nei primi 12 giorni di febbraio, rileva Refinitiv, nei porti della Cina sono state scaricati solo 7,58 milioni di barili al giorno di greggio, circa il 15% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Una contrazione analoga hanno subito le consegne di minerale di ferro, materia prima dell’acciaio, scese a 28,2 milioni di tonnellate a fronte dei 33,4 milioni di un anno fa. C’è però una coda di 66 navi che attende di scaricare altro ferro: una sosta forzata che oggi può costare oltre 100mila dollari al giorno di “demurrage” secondo Reuters, una somma spaventosa, specie se si considera il basso livello dei noli.
Il Baltic Capesize Index, riferito a navi capaci di trasportare 170180mila tonnellate di carichi secchi, è addirittura finito in territorio negativo, per la prima volta dalla sua creazione nel 1999, toccando un minimo di -284 questa settimana. Questo non significa che non ci siano stati periodi peggiori. «Il Bci – spiega Enrico Paglia, research manager di Banchero Costa – indica la variazione rispetto alla base 1.000 assegnata al 1999. In realtà nel 2016 i noli delle Capesize erano scesi fino a 1.985 dollari al giorno, mentre adesso siamo a 2.532 dollari». C’è stato comunque un crollo rapidissimo, dai 18.375 dollari in media di dicembre. «E il livello attuale – sottolinea Paglia – è ben lontano dal ripagare i costi operativi, che si aggirano intorno a 7mila dollari al giorno». A questi c’è da aggiungere anche il costo del carburante navale, rincarato a causa delle nuove specifiche imposte da Imo2020.
Almeno per i carichi secchi i noli potrebbero avere toccato il fondo. «A 2.500 dollari al giorno non si riesce nemmeno a tirare su l’ancora – ironizza d’Amico – Difficile pensare che si possa scendere ancora più in basso, se no finisce che sono gli armatori a dover pagare per trasportare i prodotti. Per le cisterne invece non è escluso che ci sia un’ulteriore discesa. È anche vero che potremmo assistere a un forte rimbalzo dei noli quando l’emergenza coronavirus terminerà».
Al momento per le Vlcc, le superpetroliere da 2 milioni di barili, i noli sono intorno a 6.500 dollari al giorno per la rotta Medio Oriente-Cina e ritorno (round voyage), contro circa 50mila dollari in media a dicembre, secondo Bancosta. A esacebare il crollo è intervenuto anche il ritiro a fine gennaio delle sanzioni Usa contro l’armatore cinese Cosco, mentre per le Capesize ha contribuito anche il forte calo delle spedizioni di ferro dal Brasile, in seguito ad alluvioni.
Anche per il traffico dei container la situazione sta nel frattempo diventando drammatica. La Cina non è solo una vorace consumatrice di materie prime – prima in assoluto nelle importazioni di petrolio e in grado di assorbire oltre metà dell’offerta mondiale di ferro, rame e carbone – ma è anche diventata un anello importante nella supply chain globale. Sette dei dieci maggiori porti per container al mondo sono proprio in Cina. Gli altri – Singapore, Hong Kong e Busan (Corea del Sud) – ne dipendono fortemente. Dalla Repubblica popolare, ricorda Ubs, arrivano oltre l’80% degli smartphone prodotti nel mondo e circa la metà dei computer e dei televisori. La Cina conta anche per il 27% della produzione di automobili (contro il 7% del 2003, ai tempi della Sars) e per l’8% delle esportazioni di componenti auto, molte delle quli arrivano proprio dall’area di Wuhan.
á@SissiBellomo