Alimentare, farmaci e moda trainano l’export 2019 La meccanica bloccata dall’epidemia
Non partono i macchinari, a rischio 4 miliardi di export verso Pechino L’imprenditore Baggini: «Come va il cliente? E chi lo sa. Non risponde alle mail»
«Il cliente? E chi lo sa. Neppure risponde alle mail».
Il macchinario davanti a Walter Baggini, un impianto per la stampa a tampone, pur essendo pronto da qualche settimana, non può essere spedito. Davanti alle richieste dell’imprenditore varesino della meccanica strumentale il cliente cinese pare svanito, il centralino non risponde: l’intera azienda è ferma, con manager e addetti certamente impegnati in problemi ben più gravi. Quello di Baggini è di natura diversa: 300mila euro di impianto pagato solo per un terzo, con più di un’incognita sui tempi di consegna. E per un’azienda da 12 milioni di ricavi, per quasi il 10% sviluppati proprio in Cina, non si tratta di un’inezia. Solo i dati di gennaio (parzialmente) e soprattutto febbraio inizieranno a raccontare qualcosa di concreto sull’impatto del coronavirus sul made in Italy ma dai racconti delle imprese è già possibile capire che almeno nel breve periodo non si tratterà di una passeggiata. Con lo stop produttivo e i vincoli di mobilità a penalizzare più settori, a partire dall’area della meccanica strumentale e delle attrezzature, la più coinvolta in termini assoluti con un export verso Pechino a ridosso dei quattro miliardi di euro.
«Due nostre macchine sono già presso il cliente cinese - spiega l’ad di Pietro Carnaghi (fresatrici, torni e centri verticali) Giuliano Radice ma siamo in attesa di capire quando potremo mandare in loco una squadra per l’installazione finale. Non prevediamo di avere danni immediati ma certamente questa situazione rallenta tutto: stavamo discutendo con più imprese progetti e investimenti specifici ma il dialogo ora è fermo. Così come ferma è l'attività fieristica: avremmo dovuto partecipare ad una rassegna a fine mese ma l’evento è stato spostato a data da destinarsi».
Stimare l’impatto della crisi è complicato, anche se le prime simulazioni non sono affatto rassicuranti.
L’ufficio studi di Intesa Sanpaolo ipotizza una revisione al ribasso per la crescita del Pil cinese dal 5,8 al 5,4% nel 2020, progressi che potrebbero ridursi al 4,9% nell’ipotesi che le misure di prevenzione siano prolungate anche nel secondo trimestre. Dalla Camera di Commercio di Milano-Monza-Lodi arriva l’ipotesi di un arretramento a doppia cifra del nostro export per il primo trimestre: per la sola Lombardia i mancati incassi sarebbero di 300 milioni di euro, un calo di oltre il 30% che su base nazionale si tradurrebbe in un salasso da 900 milioni di euro, in parte probabilmente persi (soprattutto nell’area dei prodotti di consumo), in parte differiti. «In effetti abbiamo un paio di ordini in stand-by - spiega il direttore commerciale di Omet (macchinari per la stampa) Marco Calcagni - commesse da un milione di euro che al momento non abbiamo ancora messo in lavorazione, dobbiamo capire come si muove il cliente». Non l’unico problema per l’azienda lombarda, direttamente coinvolta in Cina con una produzione diretta di sistemi di movimentazione («lì è tutto fermo - spiega Calcagni - e i manager sono ancora in quarantena»), e allo stesso tempo alle prese con incertezze sulle forniture. «Dalla Cina non compriamo nulla - aggiunge - ma in realtà alcuni fornitori di elettronica acquistano proprio lì. Abbiamo il sentore di qualche difficoltà in arrivo e stiamo valutando qualche alternativa per capire come evitare di rallentare la nostra produzione».
«Qualche ritardo nelle forniture è ipotizzabile - spiega l’ad di Mazzucconi (fonderia e produzione di componentistica per auto) Michele Mazzucconi anche se la catena logistica è lunga e l’impatto è ancora tutto da valutare. Per la nostra produzione di basamenti e teste motori non vi sono per ora cambiamenti. L’unico effetto è su Volvo, per le spedizioni che mandiamo in Cina: in questo caso il cliente ha leggermente rimodulato in avanti nel tempo i volumi, senza tuttavia modificarli».