Le Borse snobbano l’epidemia: ecco i quattro motivi
I listini, calmati dai robot, pensano che la crisi avrà un effetto temporaneo
Non sappiamo quanto si diffonderà l’epidemia di coronavirus nel mondo. Né quanto durerà l’emergenza. Né quanto severo sarà l’effetto sull’economia globale. Ma una cosa la sappiamo: alle Borse non sembra interessare più di tanto. Perché prima ancora di avere le risposte della scienza, i listini sono riusciti a tornare sui massimi storici nei giorni scorsi. I motivi di questa strana reazione, giusta o sbagliata che sia, sono almeno quattro. Uno: l’opinione diffusa sui mercati è che il virus avrà un impatto solo temporaneo sull’economia. Due: le banche centrali continuano a sostenere il mercato. Tre: gli investitori sono sovra-esposti sul mercato obbligazionario che ormai offre rendimenti ridotti all’osso, per cui saranno costretti a investire in Borsa. Quattro: ormai i mercati sono dominati dagli algoritmi, che hanno - sembrerà banale - meno “emotività” degli esseri umani.
Economia e virus
L’opinione generale che gira sui mercati è bene sintetizzata da Emmanuel Cau, head of equity strategy per l’Europa di Barclays: «Tra gli investitori è diffusa l’idea che l’impatto sull’economia sarà transitorio. Il coronavirus rallenterà la crescita, questo è certo, ma difficilmente la farà deragliare. Anzi, crediamo che gran parte di ciò che viene perso in questo trimestre verrà recuperato nei successivi». Basta guardare le stime sulla crescita del Pil fatte da Barclays per capire il concetto: prima del coronavirus la banca inglese prevedeva, per il 2020, un Pil globale in crescita del 3,7% nel primo trimestre e del 3,2% nel secondo; ora invece stima un primo trimestre ben più “magro” (+1,8%) ma un secondo ben più “nutrito” (+4,2%). E un sondaggio di Reuters tra 40 economisti lancia lo stesso messaggio: un colpo di freno ora, un’accelerazione dopo.
E se il Pil non deraglia, neppure gli utili aziendali dovrebbero farlo: le stime sui profitti nel 2020 delle aziende quotate a Wall Street sono infatti scese da un +9,6% di inizio anno a +8,1%. Solo una lieve limatura, che nulla toglie alla ripresa rispetto alla crescita dell’1,7% nel 2019. Certo, gli investitori sanno bene che possono sbagliarsi: per questo tutti, Barclays inclusa, suggeriscono di coprire i rischi facendo hedging. Ma l’orientamento generale resta positivo sui mercati.
Il paracadute e i tassi
L’ottimismo è poi determinato dall’atteggiamento delle banche centrali. Nel 2019 a livello globale 48 di loro hanno tagliato i tassi complessivamente 88 volte per un totale di 9mila punti base, secondo i calcoli di JP Morgan Am. Inoltre la Bce è tornata a stampare moneta. E anche la Fed Usa, pur senza un vero quantitative easing, dallo scorso settembre ha iniettato 420 miliardi di liquidità sui mercati. Gli investitori scommettono anche sul fatto che se la situazione peggiorasse, le banche centrali (almeno quelle che hanno ancora hanno spazio di manovra) potrebbero intervenire con maggiore forza. Insomma: l’opinione diffusa è che, in ogni caso, c’è un paracadute per economia e mercati. Questo tranquillizza non poco.
Non solo. La politica monetaria ultra-espansiva ha creato un altro fattore che potrebbe sostenere le Borse: i rendimenti sui mercati obbligazionari sono scesi molto nel 2019 ma, nonostante questo, i timori per la guerra commerciale Usa-Cina hanno spinto gli investitori più sui mercati obbligazionari che su quelli azionari. «Gli asset manager sono sovraesposti sull’obbligazionario - osserva Cau di Barclays -. Con il coronavirus le azioni delle aziende più esposte sulla Cina non sono ancora tornate sui livelli precedenti. Questa è dunque un’occasione per rientrare sul mercato, ovviamente con la copertura dei rischi».
L’algoritmo ha gli anticorpi
Ma non è solo questione di liquidità o fiducia nelle banche centrali. L’epidemia di coronavirus è un tragico fenomeno che, lo si voglia o no, risveglia paure ancestrali nell’uomo. Una situazione che può scatenare la classica reazione irrazionale, anche su mercati. Sennonché, secondo Aite Group, nel 2019 circa il 66% degli scambi di Wall Street è in mano a robot (la quota è del 55% a livello globale). Cioè: larga parte dell’operatività è gestita da software che, escludendo l’emotività, possono avere calmierato i listini.
Non solo. A detta degli esperti è plausibile che le strategie automatiche, spesso basate sull’analisi delle serie storiche, abbiano sottopesato (se non addirittura non considerato) la variabile dell’epidemia di coronavirus. Per quale motivo? Semplicemente perché, di là dalla difficoltà di definirne i parametri, è una realtà nuova. Certo: la prova empirica di questa valutazione allo stato attuale è impossibile. Inoltre l’uso di sistemi neurali rende i robot trader sempre più in grado di adeguarsi alla realtà in tempo reale. E però va ricordato che, anche nel periodo del rischio di escalation militare tra Usa e Iran, molti analisti hanno rilevato come le Borse abbiano mantenuto un comportamento composto. Oggi, come allora, l’algoritmo ha investito razionalmente e limitato l’emotività dei mercati. Il tempo dirà se ci hanno visto giusto.