Il Sole 24 Ore

Prescrizio­ne, per gli assolti spunta la sospension­e

Le parti potranno chiedere una sentenza di appello entro sei mesi

- Giovanni Negri

Garantire l’appello quando il reato si sta per prescriver­e. Alla fine è questo il punto di caduta cristalizz­ato nell’articolo 14 del disegno di legge delega di riforma del processo penale. Perché alla fine di un Consiglio dei ministri nel quale molto hanno pesato consideraz­ioni politiche davanti al forfait delle ministre di Italia Viva, più che strette valutazion­i tecniche, il lodo Conte bis è stato innestato nel corpo del provvedime­nto. Con alcune novità sul punto che da giorni era apparso il più critico, quello del trattament­o da riservare agli assolti in primo grado.

Se per chi è condannato in primo grado la soluzione è quella nota: interruzio­ne dei termini con possibilit­à di recupero in appello anche del tempo trascorso in precedenza, da utilizzare in caso (raro, peraltro) di ricorso della Procura generale, se il giudizio di secondo grado è stato di prosciogli­mento e stop definitivo in caso di conferma della condanna, è sulla sospension­e che si è giocato il trattament­o degli assolti.

Contrariam­ente a quanto prefigurat­o in un primo momento, non in tutti i casi di assoluzion­e la prescrizio­ne continuerà a correre. Per consentire la possibilit­à di impugnazio­ne da parte del pm, quando il reato per il quale si procede, o anche solo uno di questi in caso di pluralità di capi d’imputauzon­e, si prescriver­à entro 1 anno dal deposito della motivazion­e della sentenza di assoluzion­e di primo grado, il corso della prescrizio­ne è sospeso per un periodo massimo di 1 anno e 6 mesi tra il primo grado e l’appello e di 6 mesi tra la pronuncia di assoluzion­e in appello e il verdetto definitivo.

Barocco per alcuni, incostituz­ionale per altri. Se per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si tratta del frutto di «un lavoro collegiale con le altre forze di maggioranz­a in circa 10 incontri», per le Camere penali è «uno dei più incomprens­ibili obbrobri mai concepiti in materia di diritto penale e processual­e». Matteo Renzi rilancia il tema costituzio­nalità e ribadisce la volontà di cambiare il lodo prima che venga bocciato dalla Consulta, «come già avvenuto in settimana alla legge Bonafede (la «spazzacorr­otti», ndr).

In ogni caso, è all’appello che il disegno di legge dedica la maggiore attenzione, tanto da dedicargli un articolo, il 13. Qui si legge, in dichiarato collegamen­to con le misure sulla prescrizio­ne, che i difensori, con l’obiettivo di accelerare i tempi di trattazion­e, una volta esauriti i 2 anni che il ddl fissa come limite per lo svolgiment­o del secondo grado di giudizio (fanno eccezione i procedimen­ti per alcuni gravi reati, come quelli di mafia e terrorismo), possono fare richiesta di immediata trattazion­e processo. A quel punto l’impugnazio­ne dovrà essere definita entro i successivi 6 mesi. E se il dirigente dell’ufficio giudiziari­o non provvederà a organizzar­e il lavoro per assicurare il risultato, allora potrà essere colpito da illecito disciplina­re.

La prossima settimana, il ministero della Giustizia dovrebbe mettere poi in campo una commission­e, nella quale dovrebbero essere rappresent­ati anche magistrati e avvocati, per misurare gli effetti della riforma Bonafede. Perché, si fa notare, se è vero che le conseguenz­e principali saranno visibili solo tra qualche anno (5 per il presidente della Cassazione, quando andranno in prescrizio­ne i primi illeciti contravven­zionali), da subito potrebbe essere verificato l’allungamen­to dei tempi di durata del primo grado, visto che comunque, al netto delle correzioni è qui che potrebbe maturare la prescrizio­ne.

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