Brand a caccia di talenti sui social con gli influencer fatti in casa
Una grande azienda fatta di piccoli e autorevoli influencer. Perché oggi ogni dipendente con uno smartphone in mano può fare la differenza nel raccontare il brand per il quale lavora. D’altronde il digitale ci ha abituato a ribaltare unità di misura e stereotipi di un tempo: poche settimane fa Forbes lo ha ribadito, constatando come l’influencer marketing delle celebrities patinate sia morto a favore dei micro influencer della porta accanto, come ad esempio quello realizzato dai dipendenti dell’azienda. L’ultima fotografia è stata scattata dagli analisti dell’agenzia statunitense Sprout Social: il 56% di comunicatori e marketer è alla ricerca di strategie per estendere la notorietà del brand, ma soltanto il 19% ha budget cospicui per arruolare top influencer. Intanto il 70% dei professionisti intervistati utilizza con successo i propri dipendenti come ambasciatori del brand. Al bando le prodezze straordinarie dei top, il futuro è degli influencer ordinari. Così inizia la caccia agli eroi del quotidiano, quelli che lavorano giorno dopo giorno in azienda. Persone come noi, ha titolato il Guardian. E il micro influencer ha fatto ingresso anche tra i trend segnalati da Reputation Institute nell’analisi globale sul 2020. «Si tratta di persone ordinarie per una vita che cerca stabilità. Per alcuni settori accompagnarsi a questi nuovi testimonial interni genera un impatto positivo sul business: così gli ambiti che performano meglio sono quelli legati al turismo, al settore assicurativo e finanziario, a quello tecnologico», si legge nella ricerca che ha coinvolto centinaia di top manager di 18 settori di 55 Paesi tra America, Europa, Asia.
L’assicuratore arriva dai social
Micro influencer che postano, fotografano, filmano, partecipano allo storytelling dell’azienda e alle conversazioni social. Ma c’è di più. Perché nel loro essere ambasciatori del brand fanno di riflesso attrazione di nuovi talenti. È questa la nuova via dell’employer branding. Ed è quanto sta accadendo in casa Generali Country Italia, la più grande compagnia italiana di assicurazioni con 10 milioni di clienti e oltre 23 miliardi di premi totali, una rete capillare di 40mila distributori, 13mila dipendenti. Per questa realtà globale con oltre 15mila grandi imprese in 160 Paesi la scommessa è stata quella di puntare sul social team allargato. Così gli ambasciatori dell’azienda sui social hanno iniziato a parlare alle matricole, ossia a coloro che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro. “Partner di Vita: Più di un lavoro”: questo il nome della campagna che ha coinvolto mille dipendenti, con sessanta di loro diventati testimonial in video-interviste e scatti fotografici. Un modo per fare breccia sui quei giovani che si affacciano al primo lavoro.
«Le persone che dentro l’azienda stanno vivendo una grande trasformazione del mestiere dell’assicuratore parlano a chi si sta orientando per entrare nel mondo del lavoro. Ci mettono la faccia e raccontano cosa significa lavorare in un’azienda che ha un’ambizione alta: essere partner di vita. Lo stanno facendo a partire dalla loro esperienza quotidiana, spiegando come contribuiscono a realizzare questa ambizione e come la sentono propria. Ma raccontano anche cosa l’azienda offre in termini di ambiente, crescita, modalità di lavoro innovative, benefit. Si apre così un dialogo con una platea di giovani per capire cosa si può fare insieme», afferma Lucia Sciacca, Direttore Comunicazione e Sostenibilità Generali Country Italia e Global Business Lines. Metterci la faccia, insomma. Per raccontare in modo contemporaneo la vita di un brand. «Questa impostazione di comunicazione ha come risultato uno stile di relazione basato sull’empatia. D’altronde essere contemporanei oggi in comunicazione significa essere concreti, autentici, empatici. Oggi siamo osservati, seguiti o evitati non solo per i prodotti e i servizi che proponiamo, ma per i valori che dichiariamo di interpretare. E a questi dobbiamo essere fedeli, non solo a parole, ma coi fatti», precisa Sciacca.
I valori che fanno la differenza
Fare leva sui valori oltre che sul business per portare a bordo le nuove leve: una recente ricerca dell’agenzia svedese Universum ci conferma che uno studente su due quando cerca lavoro lo fa con una particolare attenzione allo scopo che un’impresa persegue, cioè al suo purpose. «Questa è la platea alla quale la nostra campagna parla, legando già dal titolo la nostra ambizione di “essere partner di vita” con la qualità del lavoro che offriamo, appunto “più di un lavoro”», ricorda Sciacca. Una comunicazione necessariamente inclusiva, coinvolgente, plurale. «Non deve essere solo l’azienda a parlare di sé, ma è importante costruire ecosistemi di relazioni che coinvolgono oltre ai dipendenti anche gli agenti, i clienti, i partner, le istituzioni attraverso una comunicazione esperienziale per rendere concreto e memorabile il messaggio con relazioni ingaggianti».
Ascolto, segmentazione, relazione: la scelta di Generali è stata quella di abbracciare i social, LinkedIn in testa. Una campagna profilata, lontana in questo caso dalle logiche mass market televisive. «In questo caso ci è sembrato il percorso più coerente perché la campagna è tutta incentrata su ascolto e dialogo: persone reali che lavorano in azienda che si raccontano a giovani che stanno orientandosi. Ecco perché abbiamo raggiunto i candidati su quelle piattaforme che loro utilizzano maggiormente – continua Sciacca –. Tutto questo lo abbiamo fatto a partire da noi del top management, con in testa il nostro Country Manager & CEO Marco Sesana». Perché in questo scenario disintermediato si diventa efficaci solo se i vertici diventano i primi sponsor della trasformazione.