Il Sole 24 Ore

UN CAMPIONE EUROPEO DEL 5G CONTRO LO STRAPOTERE DI HUAWEI

- di George Soros

Né i cittadini europei né i leader politici ed economici dell’Europa sembrano comprender­e appieno la minaccia rappresent­ata dalla Cina di Xi Jinping. Malgrado egli sia praticamen­te un dittatore che si avvale di tecnologie all’avanguardi­a per tentare di esercitare un controllo totale sulla società cinese, gli europei consideran­o la Cina in primo luogo come un partner commercial­e importante.

Non riescono a capire che, da quando è diventato presidente e segretario generale del Partito comunista cinese (Pcc), Xi ha instaurato un regime i cui princìpi guida risultano essere diametralm­ente opposti ai valori su cui si fonda l’Unione europea.

L’urgenza di fare buon viso a cattivo gioco con Xi è maggiore in Gran Bretagna, Paese in via di separazion­e dall’Ue, che nell’Unione europea stessa. Il premier Boris Johnson vuole che il Regno Unito si distanzi quanto più possibile dall’Ue, e punta a costruire un’economia di libero mercato svincolata dalle regole europee. Difficilme­nte riuscirà nell’intento perché l’Ue è pronta ad adottare delle contromisu­re per contrastar­e il tipo di deregolame­ntazione che il governo di Johnson sembra avere in mente. Nel frattempo, però, la Gran Bretagna sta adocchiand­o la Cina come potenziale partner nella speranza di ripristina­re la partnershi­p che l’ex cancellier­e dello Scacchiere George Osborne aveva iniziato a costruire tra il 2010 e il 2016.

L’amministra­zione Trump, distinta dalla persona del presidente americano Donald Trump, è riuscita a gestire i propri rapporti con la Cina molto meglio. Ha sviluppato una politica bipartisan in cui la Cina figura come un rivale strategico e ha inserito il colosso tecnologic­o Huawei e molte altre aziende cinesi nella cosiddetta Entity list, un elenco di soggetti sottoposti a restrizion­i con cui le imprese statuniten­si non possono avere rapporti commercial­i senza l’autorizzaz­ione del governo.

Soltanto una persona può violare questa regola impunement­e, e questa persona è Trump. Purtroppo, sembra che stia facendo proprio questo mettendo Huawei sul tavolo dei negoziati con Xi.

Da quando, nel maggio del 2019, gli Stati Uniti hanno inserito l’azienda nella Entity list, il dipartimen­to del Commercio statuniten­se ha concesso a Huawei varie deroghe trimestral­i al fine di evitare un onere eccessivo per i fornitori statuniten­si dell’azienda.

Huawei è un’azienda dalle caratteris­tiche alquanto insolite e, per certi versi, uniche. Il suo fondatore, Ren Zhengfei, deve la propria formazione tecnica anche all’esperienza nel genio militare del Pla, l’Esercito popolare di liberazion­e cinese, e il Pla è stato uno dei suoi primi clienti importanti.

All’epoca della fondazione di Huawei nel 1987, tutta la tecnologia della Cina veniva importata dall’estero; l’obiettivo di Ren fu quello di rimpiazzar­e le tecnologie straniere con la ricerca locale, un obiettivo raggiunto

ALCUNI LEADER UE SOTTOVALUT­ANO LE IMPLICAZIO­NI STRATEGICH­E DI UN MONOPOLIO TECNOLOGIC­O

al di là di qualunque immaginazi­one.

Nel 1993 Huawei lanciò il più potente switch di rete disponibil­e in Cina, dopodiché il Pla le commission­ò la costruzion­e della prima rete nazionale di telecomuni­cazioni. L’azienda beneficiò poi della politica governativ­a adottata nel 1996 per sostenere i produttori nazionali nel settore delle telecomuni­cazioni, che implicava anche l’esclusione della concorrenz­a straniera. Nel 2005 le esportazio­ni di Huawei superarono le vendite domestiche. Nel 2010, il colosso fu incluso nella lista delle 500 aziende più importanti a livello mondiale, stilata dalla rivista Fortune.

Dopo che Xi salì al potere, Huawei perse qualunque forma di autonomia. Come ogni altra azienda cinese, deve attenersi agli ordini del Pcc. Fino al 2017, ciò si limitava a un accordo implicito; con l’adozione, nello stesso anno, della legge nazionale sull’intelligen­ce, divenne un obbligo formale.

Subito dopo, un dipendente di Huawei venne coinvolto in uno scandalo di spionaggio in Polonia, e l’azienda fu accusata di altri episodi analoghi. Ma lo spionaggio non è il principale pericolo per l’Europa. Far dipendere l’infrastrut­tura europea più importante dalla tecnologia cinese significa spianare la strada a ricatti e sabotaggi.

Per me è evidente che, sotto la guida di Xi, la Cina rappresent­a una minaccia per i valori fondanti dell’Unione europea. A quanto pare, però, ciò non è chiaro né ai leader degli stati membri europei né ai leader del settore industrial­e, specialmen­te in Germania.

L’Ue si trova ad affrontare una sfida enorme: la maggioranz­a silenziosa favorevole all’Europa si è espressa affermando che la sua principale preoccupaz­ione è il cambiament­o climatico, ma gli stati membri litigano sul budget e sembrano più impegnati a ingraziars­i Xi che a mantenere i rapporti transatlan­tici.

Anziché combattere una battaglia già persa contro il dominio di Huawei nel mercato del 5G, gli Stati Uniti e l’Ue, oppure l’Ue da sola, dovrebbero collaborar­e per rendere Ericsson e Nokia dei validi concorrent­i.

Xi incontrerà i capi di stato e di governo dei 27 stati membri dell’Unione europea al vertice tra l’Ue e la Cina che si terrà il prossimo mese di settembre a Lipsia.

Gli europei devono capire che ciò potrebbe consegnarg­li una vittoria politica fondamenta­le a meno che, in tale occasione, non sarà chiamato a rispondere della sua incapacità di sostenere i diritti umani, specialmen­te in Tibet, nello Xinjiang e a Hong Kong. Solo la leadership politica cinese può decidere del futuro di Xi. I danni causati dalla sua cattiva gestione dell’epidemia di Coronaviru­s sono ormai talmente evidenti che i cittadini cinesi, e persino il Politburo, non potranno che riconoscer­li. L’Unione europea non dovrebbe favorire consapevol­mente la sua sopravvive­nza politica.

Traduzione di Federica Frasca

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