La credibilità dell’Occidente alla prova della Conferenza di Monaco
La distanza tra Europa e Stati Uniti alla radice della crisi del sistema liberaldemocratico
L’anno scorso Joe Biden era andato a Monaco per esortare gli alleati ad «avere pazienza: torneremo». Non sarà facile quest’anno per Nancy Pelosi fare la stessa promessa, dato l’affollamento di candidati democratici rissosi e i sondaggi in crescita per Donald Trump. Quest’anno più dell’anno scorso, alla Conferenza sulla Sicurezza aperta in Baviera è in gioco la credibilità dell’Occidente: le sue istituzioni, le alleanze, gli ideali. E l’anno prossimo ancor più che in questo, la crisi del sistema liberaldemocratico sarà un’emergenza assoluta se davvero a Washington ci sarà ancora lo stesso presidente.
Sembra passata un’era glaciale da quando a Monaco si parlava principalmente di Isis. Di nemici esterni ce ne sono sempre, tuttavia mai come adesso le minacce più insidiose sono interne, al di qua delle nostre linee, fra di noi. Evidentemente Trump, che in questo anno, da conferenza a conferenza di Monaco, ha mostrato più simpatia per Vladimir Putin e il nordcoreano Kim Jong-un che per la Nato e l’Unione Europea.
Il segretario generale Jens Stoltenberg sostiene che la Nato è l’alleanza di maggiore successo della storia umana; il presidente francese Emmanuel Macron dice invece che è «in stato di morte cerebrale». Hanno entrambi ragione. Non i russi né i cinesi sono stati capaci di costruire qualcosa di simile attorno alle loro ambizioni globali. Al contrario, i loro comportamenti sono la costante preoccupazione dei vicini che cercano protezione nella Nato o negli Stati Uniti. Gli unici tre Paesi dove la Russia è intervenuta militarmente – Moldavia, Georgia e Ucraina – non sono membri dell’Alleanza Atlantica.
Ma c’è qualcosa che non funziona se il peggior critico della Nato è il presidente del Paese che l’ha creata; se i partiti nazionalisti di governo o di opposizione europei ne contestano l’uso come deterrente alle minacce russe; se, secondo l’istituto di ricerca Pew, il 40% dei Paesi Nato non interverrebbe in difesa delle repubbliche baltiche se attaccate dalla Russia; se un autorevole membro dell’Alleanza acquista armi russe e combatte le sue guerre in Medio Oriente. Mentre gli alleati discutono se e quanto allargare o ridurre il teatro d’azione fuori da quello europeo, la Turchia combatte in Libia e in Siria.
Nella Nato ci sono le armi ma non la volontà politica. Anche se con il solito fastidioso protagonismo francese e con definizioni esagerate, Macron ha ragione a porre la questione. E non sbaglia a enfatizzare il ruolo europeo. Non deve forse la Ue decidere una volta per tutte se avere davvero una sua forza militare? Se sì, come e quanto si deve sovrapporre con l’Alleanza Atlantica? È evidente che se la superpotenza economica europea è la Germania, secondo Macron quella militare debba essere la Francia. Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, il presidente francese non ha perso tempo a ricordare che il solo arsenale nucleare della Ue è il suo, la Force de frappe. Ma senza un deterrente militare e una diplomazia comuni, dalla crisi libica a quella siriana, dal piano di pace di Trump per israeliani e palestinesi ai mutamenti climatici, la domanda ormai banale ma provocatoria continuerà a essere sempre la stessa: l’Europa dov’è?
Alla conferenza di quest’anno è stato invitato anche Mark Zuckerberg perché il web e l’intero mondo cibernetico sono diventati più essenziali per la sicurezza di quanto possa ancora esserlo una divisione corazzata. C’è anche di fondamentale importanza la questione 5G-cinesi che divide americani da britannici. Ma se il vero tema dell’incontro di Monaco è la credibilità dell’Occidente, a Zuckerberg per conto dell’industria che rappresenta dovrà essere chiesto da che parte sta: se solo da quella del profitto o anche dei valori.
Ma come sempre, il convitato di pietra sarà Vladimir Putin. Lo è dall’edizione del 2007, quando con rara trasparenza illustrò le ambizioni globali della Russia rinata. I comportamenti di questo decennio confermano il suo discorso di allora. Nell’elenco degli attuali limiti della Nato – gli atteggiamenti di Trump e dei partiti nazionalisti in Europa, la scarsa determinazione di molti membri dell’Alleanza, la Turchia – il ruolo della Russia e la sua capacità d’interferire, finanziare e agire, sono costanti. In un certo senso per i valori occidentali la Russia di Putin è più pericolosa dell’Unione Sovietica di Stalin.La seconda minacciava di scatenare una guerra termo-nucleare che non avrebbe mai fatto; la prima mina dall’interno i connotati del sistema liberal-democratico. Ospite fisso a Monaco, sarà il ministro degli Esteri Serghej Lavrov che, come anche negli interventi ai Dialoghi Mediterranei di Roma, parlerà molto senza dire nulla. Terrà una lezione russa sui diritti umani, la giustizia internazionale, il neocolonialismo. Intanto l’esercito dei trolls, più efficiente e meno costoso di una divisione corazzata, si prepara a ripetere il successo delle elezioni americane del 2016.