Dal Politecnico al Ponte Vecchio per creare i gioielli (e il mestiere)
Dopo il master in Design dell’accessorio un tirocinio nell’antico laboratorio orafo di Armando Piccini
Sarà come azionare la macchina del tempo. Tornando indietro di 100 anni, quando Armando Piccini, eclettico gioielliere fiorentino, inventava forme e incideva pietre nel piccolo laboratorio sul Ponte Vecchio, sopra il negozio di gioielli di famiglia, con vista mozzafiato sull’Arno e con la compagnia della Storia: il soffitto dell’atelier è il pavimento del Corridoio vasariano, la via aerea fatta costruire da Cosimo I de’ Medici nel 1565 per andare in sicurezza da Palazzo Pitti a Palazzo Vecchio.
Oggi questo è l’unico laboratorio orafo rimasto sul ponte più famoso di Firenze (che ancora ospita negozi di gioielli), un minuscolo scrigno di saperi che, per la prima volta, si prepara ad accogliere per un tirocinio i due vincitori del Premio “Armando Piccini”.
Elisa Tozzi Piccini, pronipote di Armando e amministratore delegato della maison di alta gioielleria Fratelli Piccini, due anni fa ha deciso di impegnarsi per tramandare l’arte orafa ai giovani, promuovendo un concorso che vuol rappresentare l’occasione per perfezionare un mestiere affascinante come quello del gioielliere. Alla seconda edizione il premio è diretto agli studenti del master in Design dell’accessorio del Politecnico di Milano, diretto da Alba Cappellieri, chiamati a progettare un gioiello che ha come tema il cavalluccio marino, simbolo della maison Piccini.
Il vincitore sarà scelto da una giuria formata da imprenditori, creativi e buyer, mentre Elisa Tozzi Piccini selezionerà lo studente che ha meglio interpretato l’anima della maison. Entrambi i vincitori (la premiazione si terrà il 7 maggio sul Ponte Vecchio) faranno un tirocinio di tre mesi nell’antico laboratorio orafo arrampicato sul ponte, tirocinio finanziato anche da Oma, l’Osservatorio Mestieri d’arte della Fondazione Cassa di risparmio di Firenze che ha la missione di valorizzare l’artigianato d’eccellenza.
Spiega Elisa Tozzi Piccini: «Passare dalle aule del Politecnico a un laboratorio che è fermo nel tempo, sia come tecniche che come look, significa mettere davvero insieme tecnologia e pratica, e dunque completare una preparazione che altrimenti resta spesso scollegata dalla realtà». Nessuna intenzione di escludere tecniche digitali e macchine sofisticate: «Ma questo mestiere parte dal disegno, dalla manualità, dalla pazienza e dal cuore - continua Elisa - un vero gioielliere crea da zero e la struttura di un pezzo di gioielleria richiede una conoscenza che puoi acquisire solo al banco di lavoro».
Nel laboratorio Piccini del Ponte Vecchio oggi nascono i gioielli che poi sono realizzati nei quattro laboratori esterni alla maison (l’incisore, l’incassatore, due produttori). Ma qui, come un secolo fa, si disegna e si fanno i prototipi, con un lavoro lento e spesso “su misura” del cliente, un lavoro che, da vent’anni, è affidato alle mani sapienti di Carlotta, 42 anni, gioielliera formatasi in bottega che ha conosciuto l’estro di Armando Piccini. «Il disegno è importante - spiega Carlotta mentre maneggia una scatolina di pietre rosa che vanno “trasportate” sulla carta per diventare una creazione - ma ancora più importante è riuscire a capire cosa può piacere alla persona che deve indossare il gioiello». Perché la creatività deve andare a braccetto con l’affinità.