Ravenna chiede i danni al Mise
La richiesta di aprire un tavolo di crisi affidata al prefetto della città
Un documento ufficiale per chiedere lo stato di crisi per il distretto dell’offshore nell’Alto Adriatico, con l’obiettivo però non di ammainare la bandiera sul più importante sito dell’oil&gas tricolore, ma di aprire un confronto nazionale, supportato da numeri e analisi tecniche, sul ruolo del gas per la transizione energetica del Paese e la necessità di rilanciare la relativa filiera made in Italy: è l’atto su cui da ieri pomeriggio sta lavorando il prefetto di Ravenna, Enrico Caterino, dopo l’incontro di ieri mattina con tutte le forze economiche e sociali del territorio. «Il documento dovrebbe essere pronto nel giro di un paio di giorni, sarà poi sottoscritto da tutte le associazioni datoriali e sindacali e dalle istituzioni del Ravennate e contiamo sia inviato dal prefetto al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli entro la fine di questa settimana o, al massimo a inizio della prossima», spiega Tomaso Tarozzi, vicepresidente di Confindustria Romagna e presidente della delegazione ravennate, all’uscita dalla Prefettura.
La richiesta formale, affidata al prefetto di Ravenna nella veste di rappresentante del Governo, di aprire un tavolo “di crisi e di prospettiva” di sito per il comparto offshore centro settentrionale (i confini sono quelli dell’operatività di Eni nell’Alto Adriatico, con sede a Ravenna) è l’ultima azione corale di un tessuto produttivo sfiancato dal blocco totale delle attività di ricerca e prospezione del gas in mare per 18 mesi deciso dall’emendamento “blocca trivelle” di inizio 2019 e prorogato la scorsa settimana di altri sei mesi (fino a febbraio 2021) dal Milleproroghe: restano più o meno 3mila addetti, tra diretti e indiretti, attivi nell’oil&gas ravennate, erano 5mila fino a quattro anni fa e 10mila a inizio Millennio, le multinazionali stanno smantellando la presenza nel distretto (è di questi giorni la procedura di licenziamento alla Schlumberger) e i pochi player che resistono lo devono alle attività estere, arrivate a rappresentare oltre il 96% del giro d’affari. «Tutti i solleciti inviati fin qui al Mise da me in quanto rappresentante del Comune di Ravenna, da Confindustria e dai sindacati per chiedere di convocare un tavolo di crisi dell’oil&gas sono rimasti sempre senza risposta», ricorda il sindaco Michele de Pascale, che ieri era seduto in prefettura con esponenti di tutti i colori tra le forze politiche, imprenditoriali e sindacali, con un’unica eccezione: i grillini.
«Dobbiamo alle scelte demagogiche dei Cinquestelle questa crisi – sottolinea Emanuele Scerra, segretario Femca Cisl Romagna – perché anche nei Piani energia e clima da loro firmati è scritto nero su bianco che la domanda di gas continuerà ad aumentare in Italia nei prossimi 30 anni per sostituire le fonti fossili inquinanti e accompagnare la transizione energetica verso fonti rinnovabili, su cui siamo tutti concordi. I grillini ci dicono però che il gas va solo importato, anche se ce n’è in Italia, ma non dobbiamo sfruttarlo, pagando invece di più gas importato ed estratto con tecnologie più inquinanti e meno sicure di quelle italiane e cancellando industrie e posti di lavoro nel nostro Paese, la cui leadership per know-how e competenze è riconosciuta a livello mondiale». Da qui la decisione delle tre sigle confederali di avviare l’iter per proclamare lo stato di agitazione (domani ci sarà la cosiddetta procedura di raffreddamento in prefettura) per arrivare a indire entro marzo una nuova manifestazione nazionale sotto le finestre del Mise.
«Vogliamo aprire un tavolo di confronto nazionale in cui si parli delle potenzialità, in termini di conoscenze e competenze tecnologiche e operative, che la filiera italiana dell’oil&gas rappresenta per il futuro economico ed energetico di tutto il Paese. Questo è un tema che non riguarda 3mila persone nel sito di Ravenna, ma 60 milioni di italiani - conclude l’industriale Tomaso Tarozzi -. Senza dimenticare l’impatto che questo stop ha sulla principale società italiana attiva nell’energia, Eni, che nel 2017 aveva ipotizzato di investire in Alto Adriatico 2 miliardi di euro e poi aveva annunciato la disponibilità di altri 2 miliardi per lo sviluppo di attività complementari nel Mediterraneo. Investimenti di cui finora non si sono viste che tracce marginali».