Mina antitrust su Lseg-Refinitiv: la vera incognita sul destino di Borsa
La fusione in corso porterà venditore e produttore di dati sotto lo stesso tetto Più che la Brexit, preoccupa lo spostamento di focus delle attività del gruppo
Non solo Euronext. Anche Deutsche Börse sarebbe interessata a Piazza Affari se il London Stock Exchange decidesse di mettere in vendita Borsa Spa e le sue controllate, che sono in particolare l’Mts, il mercato all’ingrosso dei titoli di Stato cruciale per la gestione del debito sovrano italiano; la Cassa di compensazione e garanzia, che funge da controparte centrale per assicurare il buon fine degli scambi per esempio sui contratti derivati; e Montetitoli, depositario centrale con funzione di custodia titoli degli strumenti finanziari che sono ormai dematerializzati. Strutture efficienti e redditizie e che perciò fanno gola alle Borse continentali, sempre attente a considerare ogni occasione per ampliare la loro sfera d’influenza.
Ma non è tanto la Brexit (che semmai è un’aggravante) che potrebbe provocare la fuoriuscita di Milano dal gruppo londinese. Semmai l’insidia viene dalla fusione tra l’Lseg e Refinitiv che, non solo sposterà il baricentro dell’attività dai mercati ai dati, ma dovrà inoltre affrontare un severo scrutinio Antitrust. Il problema spiegano fonti informate - è che la fusione metterà assieme venditore e produttore di dati e che il dossier dovrà passare al vaglio anche dell’Antitrust Usa: di fatto è questa l’incognita maggiore su un’operazione da 27 miliardi di dollari che potrebbe essere sottoposta a pesanti limitazioni. Piace
poco peraltro alle autorità italiane che il cuore del gruppo si sposti dai mercati, proprio quando le infrastrutture della finanza sono state dichiarate strategiche e meritevoli di tutela ai fini del golden power.
La Brexit, invece, non è proprio “mal comune-mezzo gaudio”, ma è sicuramente un grattacapo che impegnerà per un bel po’ anche le piazze continentali che nulla hanno a che fare con le discontinuità di passaporto della proprietà delle loro Borse. In prima battuta sarà la Ue che dovrà pronunciarsi sul requisito di “equivalenza” - relativamente alla “trading obbligation” prevista dalla direttiva Mifid 2 - per il mercato trovatosi con la Brexit al di fuori dei confini dell’Unione. Ma poi saranno le autorità nazionali a doversi esprimere sul tema che riguarda in particolare il (mutuo) riconoscimento degli operatori. In teoria c’è tempo pr mettersi d’accordo fino a fine anno, quando scade il periodo transitorio, ma c’è chi non esclude che la fase interinale - dove tutto resterà com’era - possa essere prolungata di almeno di un anno, se non di due. Del resto è lo stesso Regno unito ad aver previsto un periodo di tre anni per decidere come concedere il riconoscimento. Il punto è però che se il numero di operatori della Penisola che chiede di essere autorizzato a operare a Londra è relativamente limitato, non così è il contrario: un eventuale intoppo sul riconoscimento degli “anglosassoni” rischierebbe di penalizzare pesantemente la liquidità del mercato.
Il problema però - osservano fonti istituzionali - è che la Ue potrebbe concedere un’autorizzazione “a tempo” per operare, dal momento che man mano che le regolamentazioni del blocco europeo e del Regno unito divergeranno, il principio di equivalenza andrà di volta in volta riverificato. Questo ovviamente aumenterà il quadro di incertezza che già circonda l’incognita Brexit.
Ad ogni modo, se le due visite riservate che il ceo dell’Lseg David Schwimmer ha effettuato di recente nella Penisola - incontrando esponenti di Consob, Banca d’Italia e Tesoro - volevano essere tranquillizzanti, forse non hanno dissipato del tutto i dubbi. Ancora una decina di giorni fa Davide Zanichelli (M5S), membro della commissione Finanze della Camera, ha depositato un’interpellanza per chiedere al presidente del Consiglio e al ministro del Tesoro quali iniziative o interlocuzioni il Governo stia mettendo in atto per affrontare i possibili scenari che investiranno Borsa italiana, quali misure il Governo ritenga adottare nel caso in cui la società-mercato finisse in un contesto “ostile” agli interessi del Paese, e come valuti «un impegno di istituzioni nazionali pubbliche (o in sinergia con realtà private) che intenda preservare il carattere italiano dell’operatore gestore delle contrattazioni finanziarie d’interesse del Paese». Poi è arrivato il coronavirus e a Milano sono balzate alla ribalta inquietudini di altro tipo.