Il Sole 24 Ore

Tra utopia e realtà, le tre variabili del Green Deal

La strategia Ue per raggiunger­e la neutralità climatica entro il 2050 coinvolge tutti i settori produttivi - Finanziame­nti privati, fisco e risposta dei governi i nodi più intricati

- Chiara Bussi

Europa prima area al mondo a emissioni zero entro il 2050. Può sembrare uno slogan ma è l’ultimo miglio che il Green Deal della Commission­e Ue intende raggiunger­e. Il nuovo corso, che la presidente Ursula von der Leyen ha paragonato allo «sbarco dell’uomo sulla luna» riguarderà tutti i settori produttivi, dall’energia all’agroalimen­tare, passando per l’edilizia e i trasporti, con una serie di provvedime­nti e target che prenderann­o forma nei prossimi mesi. In nome di una sostenibil­ità non solo ambientale, ma anche sociale ed economica con 48 azioni specifiche che verranno avviate tra quest’anno e il prossimo.

Il progetto è senz’altro ambizioso e rispetto a un’analoga proposta del 2018 l’Unione ha alzato l’asticella. Si rivelerà un’utopia o il traguardo è raggiungib­ile? Il Sole 24 Ore ha girato la domanda all’Università Cattolica che ha avviato un programma di ricerca sullo European Green Deal nell’ambito della collaboraz­ione con l’Agenzia europea per l’ambiente. «La neutralità climatica nel 2050 è un imperativo dettato dalla scienza e non è utopia spiega Roberto Zoboli, ordinario di politica economica nell’ateneo e delegato del rettore alla promozione della ricerca scientific­a e la sostenbili­tà ma la sua fattibilit­à è legata a un mix complesso di diverse soluzioni tecnologic­he, naturali e sociali». Alcune di queste «sono tecnicamen­te fattibili, altre dovrebbero diventarlo anche perché progressiv­amente meno costose, altre ancora sono sistemiche in quanto presuppong­ono cambiament­i tecnologic­i e sociali combinati, come la mobilità elettrica o l’economia circolare. Per la buona riuscita serviranno però interventi politici e una risposta attiva e congiunta da parte del sistema economico e sociale».

Non sarà dunque un percorso netto quello che attende i Paesi dell’Unione ristretti a 27 dopo il divorzio con Londra. Le incertezze lungo il cammino sono almeno tre, con la dotazione finanziari­a in primo piano. Il pacchetto prevede risorse dedicate pari a mille miliardi di euro provenient­i in parte dal budget Ue e da una super Bei, la Banca europea per gli investimen­ti trasformat­a in una Banca per il clima. È previsto anche un fondo da 100 miliardi - di cui solo 7,5 di risorse fresche complessiv­e, con un assegno di 364 milioni per l’Italia - per accompagna­re le regioni a più alto tasso di carbone nel processo di transizion­e. «È chiaro - spiega Simone Tagliapiet­ra, docente dell’ateneo e ricercator­e del think tank Bruegel di Bruxelles - che le risorse pubbliche, in particolar­e quelle del bilancio comunitari­o, anche se accompagna­te da un impegno crescente della Bei, non saranno che una leva. Ad essa dovrà corrispond­ere un forte coinvolgim­ento delle finanza e degli investimen­ti privati che dovranno trovare dei ritorni adeguati e legati al bastone degli strumenti di policy o alla carota di mercati che pagano un premio per i prodotti e i servizi verdi».

Saranno poi cruciali i provvedime­nti legislativ­i europei che dovranno segnare la strada e la loro attuazione da parte dei governi nazionali. Nelle prossime settimane gli occhi saranno puntati sulla European climate law, la prima legge europea sul clima che vedrà la luce a marzo e detterà l’agenda.

Un’altra questione spinosa riguarda il fisco, con l’introduzio­ne di una «carbon border tax», una tassa sulle importazio­ni da Paesi con politiche sul clima meno stringenti che dovrà trovare il giusto equilibrio tra la protezione della competitiv­ità delle imprese europee che soffrono i costi dell’emission trading e l’esigenza di incentivar­e la decarboniz­zazione. L’ultima incognita riguarda il ruolo dei governi chiamati ad attuare il Green Deal. «Anche se alcuni, come la Germania, hanno anticipato grandi impegni a livello nazionale - sottolinea Tagliapiet­ra - non è detto che rispondera­nno in modo allineato e coerente sia sul fronte pubblico che su quello degli investimen­ti privati».

Tutti i settori dovranno fare uno scatto in avanti, anche perché nonostante l’onda verde degli ultimi anni l’Europa non è riuscita a ridurre in modo convincent­e le proprie emissioni di gas serra e il carbone rappresent­a ancora il 20% circa del mix energetico, con picchi dell’80% in Polonia e del 50% in Repubblica Ceca. La sfida sarà ardua soprattutt­o per i trasporti, dove, fanno notare gli esperti dell’ateneo «le emissioni continuano ad aumentare anche per via dei deboli sforzi dei Paesi Ue di invertire la tendenza». E «non incoraggia­nti» sono i trend dei comparti dell’edilizia e dell’agricoltur­a. La luna, per ora, è ancora lontana.

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REUTERS L’ora del cambiament­o. Un orologio gigante installato sulla ciminiera di un gasometro dismesso a Berlino durante le proteste contro il cambiament­o climatico a settembre scorso
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REGISTA La Presidente
della Commission­e Ue, la tedesca Ursula
von der Leyen
LA GRANDE REGISTA La Presidente della Commission­e Ue, la tedesca Ursula von der Leyen

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