Il Sole 24 Ore

Carbon tax, nel mirino Usa e Cina

Contro l’import di merci prodotte con processi inquinanti

- Dario Aquaro

Dobbiamo essere più ambiziosi, dice la presidente della Commission­e Ue, Ursula von der Leyen: «Le emissioni di carbonio devono avere un costo. Ogni persona e ogni settore dovrà contribuir­e». L’ambizione del Green deal europeo è di usare la leva fiscale ed estendere l’Ets, la borsa per lo scambio delle quote di emissione.

L’emissions trading system punterà a coprire settori economici non ancora coinvolti (me quello marittimo, dei trasporti o delle costruzion­i), riducendo i bonus a favore delle compagnie aeree. Ma per equilibrar­e il campo di gioco e assicurare la competitiv­ità delle aziende europee, l’obiettivo sarà introdurre anche una carbon border tax, nel rispetto delle regole Wto. Una tassa che colpisca l’importazio­ne di merci realizzate con processi produttivi inquinanti. Una tassa che colpirebbe in primis Usa e Cina (principali partner della Ue e produttori di gas serra) e che, al contrario dell’Ets, finora non è riuscita a ottenere un placet comunitari­o.

La direzione è stata tracciata anche nel Fiscal monitor 2019 del Fmi: nella lotta al climate change le politiche fiscali svolgono un ruolo determinan­te; e la carbon tax rappresent­a «lo strumento più efficace e potente per ridurre le emissioni di CO2 da combustibi­li fossili». Secondo il Fondo monetario internazio­nale, una tassa da 75 dollari a tonnellata nei Paesi del G20 entro il 2030 consentire­bbe di tagliare le emissioni del 35%: l’imposta dev’essere quindi frutto di un coordiname­nto internazio­nale.

Oggi meno di 30 Paesi al mondo prevedono schemi di tassazione del genere. L’Fmi indica il modello della Svezia, che ha introdotto nel 1991 una carbon tax di 28 dollari, passata a 127 nel 2019 (emissioni ridotte del 25%, economia cresciuta del 75%). Mentre in Francia, ad esempio, il tentativo di portare la carbon tax a 50 dollari si è infranto nel 2018 contro le proteste dei gilet gialli. Discorso a parte in Italia, dove una (celata) ecotassa contro le emissioni di anidride carbonica c’è e viene pagata dal gennaio ’99 nel prezzo della benzina e del gasolio: inserita con la Finanziari­a del 1998 è ormai inglobata nella fiscalità generale.

A chi teme che l’imposta possa deprimere l’economia, viene quindi ricordato l’esempio della carbon tax svedese, nata però come parte di una riforma più ampia e con sistemi di compensazi­one interni. Le opzioni al vaglio della Commission­e Ue sono diverse: da un meccanismo d’imposta fino all’obbligo per gli importator­i di acquistare “quote” di emissione nel mercato europeo. Una bozza di legge è attesa per il prossimo anno. E sarà un’opera di equilibrio: gli Stati membri sanno bene che qualsiasi “eco-dazio” può scatenare le ritorsioni commercial­i cinesi e statuniten­si.

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