LA CONSULTA ABBANDONA I FORMALISMI
Con una sentenza “storica”, la Corte costituzionale ha affermato l’irretroattività delle modifiche apportate all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario dalla legge n. 3 del 2019, cosiddetta «legge spazzacorrotti», che ha esteso a molti delitti contro la Pa il regime del cosiddetto doppio binario penitenziario, tra le altre imponendo a chi subisce una condanna per reati come peculato, concussione, induzione indebita e corruzione ed altri, un forzoso “assaggio di pena”, giacché potrà chiedere l’accesso alle misure alternative solo dal carcere, e solo se saprà offrire – in linea di principio – un apprezzabile contributo di collaborazione all’autorità giudiziaria.
Si era anche recentemente sostenuto che tali modifiche – in linea con l’orientamento giurisprudenziale dominante che ha sempre considerato le norme dell’ordinamento penitenziario sottratte alla garanzia dell’irretroattività – dovessero ritenersi immediatamente applicabili, anche cioè a coloro che avessero commesso il reato in un tempo precedente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019.
Molti giudici, peraltro, hanno sin da subito coraggiosamente contraddetto questa linea: taluni affermando la doverosità di una diversa interpretazione, conforme alla Costituzione e alla Cedu, altri sollevando, appunto, questione di legittimità costituzionale.
La Corte – in una prima decisione assunta l’11 febbraio scorso e depositata mercoledì scorso – ha ritenuto fondati i profili di evidente incostituzionalità denunciati, posti «al cuore stesso del concetto di stato di diritto»: abbandonando la tradizionale impostazione formalistica ed estendendo il principio di irretroattività ogni volta che «la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformazione della natura della pena, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato».
Sono appunto tali le modifiche che – per il tramite della citata estensione del regime di ostatività di cui all’articolo 4 bis – alterano in senso peggiorativo i presupposti di ottenimento dell’affidamento in prova ai servizi sociali, della semilibertà o della liberazione condizionale; ma non – secondo il distinguo accolto dalla Corte – quelle concernenti i permessi premio e il lavoro all’esterno.
Peraltro, sulla base di questa prima decisione, una seconda