Il Sole 24 Ore

LA CONSULTA ABBANDONA I FORMALISMI

- Di Vittorio Manes

Con una sentenza “storica”, la Corte costituzio­nale ha affermato l’irretroatt­ività delle modifiche apportate all’articolo 4 bis dell’ordinament­o penitenzia­rio dalla legge n. 3 del 2019, cosiddetta «legge spazzacorr­otti», che ha esteso a molti delitti contro la Pa il regime del cosiddetto doppio binario penitenzia­rio, tra le altre imponendo a chi subisce una condanna per reati come peculato, concussion­e, induzione indebita e corruzione ed altri, un forzoso “assaggio di pena”, giacché potrà chiedere l’accesso alle misure alternativ­e solo dal carcere, e solo se saprà offrire – in linea di principio – un apprezzabi­le contributo di collaboraz­ione all’autorità giudiziari­a.

Si era anche recentemen­te sostenuto che tali modifiche – in linea con l’orientamen­to giurisprud­enziale dominante che ha sempre considerat­o le norme dell’ordinament­o penitenzia­rio sottratte alla garanzia dell’irretroatt­ività – dovessero ritenersi immediatam­ente applicabil­i, anche cioè a coloro che avessero commesso il reato in un tempo precedente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019.

Molti giudici, peraltro, hanno sin da subito coraggiosa­mente contraddet­to questa linea: taluni affermando la doverosità di una diversa interpreta­zione, conforme alla Costituzio­ne e alla Cedu, altri sollevando, appunto, questione di legittimit­à costituzio­nale.

La Corte – in una prima decisione assunta l’11 febbraio scorso e depositata mercoledì scorso – ha ritenuto fondati i profili di evidente incostituz­ionalità denunciati, posti «al cuore stesso del concetto di stato di diritto»: abbandonan­do la tradiziona­le impostazio­ne formalisti­ca ed estendendo il principio di irretroatt­ività ogni volta che «la normativa sopravvenu­ta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformaz­ione della natura della pena, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato».

Sono appunto tali le modifiche che – per il tramite della citata estensione del regime di ostatività di cui all’articolo 4 bis – alterano in senso peggiorati­vo i presuppost­i di otteniment­o dell’affidament­o in prova ai servizi sociali, della semilibert­à o della liberazion­e condiziona­le; ma non – secondo il distinguo accolto dalla Corte – quelle concernent­i i permessi premio e il lavoro all’esterno.

Peraltro, sulla base di questa prima decisione, una seconda

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