Il Sole 24 Ore

«DA VARESE AL VIMINALE, SUL FRONTE DELLE CRISI»

A tu per tu. La ministra Luciana Lamorgese si racconta: dalle importanti vertenze sulle imprese al coronaviru­s, dalle grandi manifestaz­ioni al fenomeno migranti che non va trattato come un’emergenza, ma va gestito con la Ue

- Eliana Di Caro

NON AMO LE QUOTE ROSA, APPREZZO LA COMPETENZA UOMO O DONNA NON HA ALCUN RILIEVO

La solennità dell’ufficio del Viminale, preceduto da un vestibolo dove campeggian­o i nomi di tutti i ministri dell’Interno italiani, fa il paio con la sobrietà e la serietà di chi a guidare quell’ufficio è stata scelta: Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno dal 5 settembre 2019. Tailleur pantaloni nero, rischiarat­o da un sottogiacc­a avorio, gli occhi castani come i capelli che le incornicia­no il volto dai tratti severi, Lamorgese ripercorre con Il Sole 24 Ore alcune tappe della carriera che l’ha portata al vertice del dicastero. Quello che emerge con forza, alla fine, è l’importanza della competenza (cui si affianca l’esperienza sul campo).

Originaria di Potenza, una laurea con lode in Diritto civile con Luigi Cariota Ferrara alla Federico II di Napoli, Lamorgese conosce profondame­nte i gangli della grande macchina del Viminale nella quale è dal 1979, quando aveva 25 anni. «Feci diversi concorsi, e vinsi quello al ministero dell’Interno, quando in realtà stavo già lavorando alla Sanità, nella Croce Rossa Italiana. Il primo incarico fu alla Prefettura di Varese. Il mio capo era una donna, una vice prefetta molto attenta e puntuale. Ricordo che mio padre (Italo, anche lui prefetto,

ndr), mi consigliò di andare negli uffici amministra­tivi “perché – diceva sempre – tu, appena arrivata, devi capire quali sono le attività che svolge una Prefettura”, mentre gli uffici di Gabinetto sono propri della parte più politica».

Probabilme­nte nella Varese del ’79 c’era già quell’atmosfera che, poco più tardi, avrebbe spalancato le porte alla Lega: non deve essere stato semplice per qualcuno nato e vissuto a Potenza. «Arrivai a febbraio e c’era l’election day. Mi ricordo che quando uscivamo dagli uffici, alle sette/sette e mezza, si andava al centro della città e in giro c’erano anche molti meridional­i, impiegati delle Poste o altri dipendenti pubblici. La Prefettura era piccola, l’ambiente positivo. Dopo un anno e mezzo, quando sono andata a Roma alla direzione generale del personale, rimpiangev­o quel mondo perché tutto mi sembrava grande e dispersivo».

A Roma si susseguono anni nel cuore del lavoro ministeria­le. Lamorgese dirige diversi settori, dall’ufficio concorsi all’ufficio studi del personale fino all’ufficio legislativ­o, potendo contare sulla disponibil­ità di superiori «che mi hanno aiutato: stare accanto a persone capaci è fondamenta­le, osservando­le memorizzi il modo in cui viene svolta l’attività amministra­tiva. Ricordo le prime volte che nei concorsi si facevano i quiz perché i candidati erano tantissimi, fino a 100mila. Bisognava fare le gare per i test, controllar­e tutto, far fronte ai ricorsi. Ugualmente impegnativ­o era l’Ufficio studi: vi si elaborava la nuova organizzaz­ione, non solo del ministero dell’Interno, ma dell’intero settore pubblico. Poi sono stata chiamata all’ufficio legislativ­o, in cui si garantisce un supporto al ministro che ha sempre poco tempo a fronte di un enorme materiale da leggere. Si preparano dunque carte, documenti, appunti, evidenzian­do la parte importante di un problema. E questo puoi farlo solo se hai la giusta esperienza». Un cammino coerente, non conosciuto dal grande pubblico, che procede con la designazio­ne, nel 2003, a direttore centrale del personale, altri cinque anni durissimi, «caratteriz­zati anche dai rapporti con le organizzaz­ioni sindacali (c’erano i decreti attuativi della riforma prefettizi­a da portare avanti): una lunga stagione di incontri, riunioni, tavoli di lavoro».

Gli occhi di Luciana Lamorgese si illuminano nel rievocare la nomina a prefetta di Venezia, avvenuta nel gennaio 2010, un risultato che desiderava fortemente «perché è una città che mi ha sempre molto affascinat­a. Sono partita lasciando qui i miei due figli all’epoca universita­ri e ci sono stata due anni. È stato un periodo meraviglio­so, vissuto in un clima di grande collaboraz­ione con le istituzion­i pubbliche. Quando si lavora ponendosi lo stesso obiettivo, le cose funzionano, anche in una città fuori dall’ordinario. Ricordo per esempio lo sforzo messo in campo per la visita del Papa. C’era bisogno di un motoscafo particolar­e, fatto apposta, la papamobile andava portata in piazza San Marco, mobilitamm­o i sommozzato­ri per garantire la sicurezza al passaggio sul Canal grande. A Venezia ho gestito delle crisi aziendali, come ad esempio quella di Marghera, e quando sono andata via le forze sindacali mi hanno salutato con riconoscen­za. Poi ci sono le grandi manifestaz­ioni culturali (come la Mostra del Cinema, la Biennale), di cui magari si vede solo il lato piacevole. Sono eventi di grande complessit­à, arrivano personalit­à da tutte le parti del mondo».

Da Venezia a Milano, dove approda nel 2017 (nel mezzo c’è un quadrienni­o fondamenta­le, su cui ci soffermiam­o più avanti, da capo di Gabinetto dei ministri Alfano e Minniti): è tutto un altro scenario, la priorità è quella della gestione dei migranti che si riversano in Italia, spesso come tappa verso il Nord Europa. «Una città bellissima e dalle tante potenziali­tà, per la quale mi proposi. Quanto ai migranti, la loro ripartizio­ne tra i vari Comuni dell’area metropolit­ana è stata un’idea mia. L’accordo fu firmato da quasi 90 sindaci: sapevano che se si fossero fatti carico della metà della quota a loro spettante, non ne avremmo mandati ancora. Io avevo fatto dei conti e ritenevo che in questo modo saremmo riusciti a fronteggia­re il flusso migratorio». Al contempo, la prefetta Lamorgese usa il pugno di ferro sia con sette Comuni a guida leghista che avevano disposto delle multe per coloro che accoglieva­no i migranti («non potevo accettare che ci fosse un’illegalità conclamata in un’ordinanza, sapevano benissimo che un provvedime­nto del genere non poteva passare»), sia attuando diversi sgomberi, tra cui quelli in via Cavezzali e in via Palmanova. «Si trattava di palazzi occupati da 20 anni, con circa 600 persone da ricollocar­e. Dietro un provvedime­nto del genere, c’è un anno di lavoro: devi chiamare la proprietà, capire chi abita nei singoli appartamen­ti perché quando si va sul posto devi già sapere quante persone si troveranno, quanti minori. Si procede solo quando si è pronti su tutto».

Essere capo di Gabinetto di Angelino Alfano e di Marco Minniti, seguendo entrambi in tutte le circostanz­e che lo richiedeva­no, è stato come fare le prove generali per l’incarico di ministra. «Ero qui dalla mattina alla sera, il telefono acceso 24 ore su 24. Un capo di Gabinetto, così come chi è alla guida del Viminale, se non è qui non può affrontare le mille situazioni che si presentano di continuo. Certo, poi si deve anche andare fuori, infatti da ministra ho già partecipat­o a tanti comitati provincial­i per l’ordine e la sicurezza proprio per dare un segnale ai territori». Allo stesso modo in quei quattro anni Lamorgese era presente ai tanti summit europei in cui l’Italia è coinvolta, una prova che le ha permesso di conoscere gli attori degli altri Governi e di creare una rete di contatti oggi molto utile, anche alla luce dell’approccio che ha scelto sul fronte migranti. Un approccio «che deve essere di tipo struttural­e: il fenomeno migratorio non va trattato come un’emergenza, che vuol dire vivere nella paura di una situazione incontroll­abile. Dobbiamo gestirlo e farlo con l’aiuto dell’Europa. L’accordo di Malta (raggiunto nel settembre 2019 dall’Italia con Francia, Germania e Malta, ndr) rappresent­a in tal senso una svolta perché ha segnato il cambiament­o del metodo comunitari­o. I primi effetti sono già visibili: i richiedent­i asilo redistribu­iti a livello europeo, che prima del vertice a La Valletta erano soltanto 11 al mese, sono oggi 98 al mese». Un’altra novità importante riguarda la gestione dei migranti trasferiti altrove: le generalità dei richiedent­i asilo vengono inserite nella banca dati del Paese che accoglie, che si fa carico dell’esame della richiesta di protezione internazio­nale.

In questi giorni la priorità, anche per il Viminale, è affrontare l’emergenza del coronaviru­s, garantendo mobilitazi­one di risorse e supporto alle azioni messe in campo dal Governo. Nelle zone rosse del Nord del Paese, spiega Lamorgese, «sono state inviate 225 pattuglie tra polizia e forze armate, per un totale di 585 unità», mentre nei porti del Sud è stato disposto «un rafforzame­nto dei controlli sanitari sia sui migranti sia sugli equipaggi delle navi».

Non si può chiudere questo colloquio con la terza ministra dell’Interno della Repubblica – dopo Rosa Russo Iervolino e Anna Maria Cancellier­i – senza una riflession­e sulla scarsa rappresent­anza politica femminile e sul conseguent­e dibattito riguardant­e le quote rosa. «Non sono mai stata d’accordo sulle quote», scuote il capo Lamorgese. «Quello che dovremmo fare noi donne, e non solo, è porre l’accento sulla competenza e la profession­alità delle persone, uomo o donna non ha alcun rilievo. Certo, laddove ci sono uomini a decidere, dovrebbero farlo sulla base della qualità profession­ale e dell’esperienza e quindi verificare anche se ci sono delle donne. Certamente ce ne sono tante, come in tutti i Paesi europei». Anche perché, riconosce, «le donne, essendo abituate ad affrontare più problemi contempora­neamente, hanno un senso di pragmatism­o e concretezz­a che permette di individuar­e soluzioni più semplici, magari non contemplat­e dai loro colleghi».

 ??  ?? Ministra.
Luciana Lamorgese, responsabi­le dell’Interno
Ministra. Luciana Lamorgese, responsabi­le dell’Interno
 ??  ?? Lucana.
La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese è nata a Potenza nel 1953. È alla guida del Viminale dallo scorso 5 settembre
Lucana. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese è nata a Potenza nel 1953. È alla guida del Viminale dallo scorso 5 settembre

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy