Il Sole 24 Ore

Ue, missione Africa per arginare la Cina

La Commission­e prepara una strategia di cooperazio­ne con il passaggio dallo schema degli investimen­ti per lo sviluppo a una partnershi­p tra pari in aree chiave come energie rinnovabil­i, innovazion­e e immigrazio­ne

- Alberto Magnani

Da quando è approdata al vertice della Commission­e europea, Ursula von der Leyen è volata ad Addis Abeba due volte in meno di tre mesi. La prima per una visita istituzion­ale con il premier etiope Abiy Ahmed. La seconda, il 27 febbraio, per un faccia a faccia allargato tra l’Esecutivo europeo e la sua contropart­e locale, la commission­e dell’Unione africana (Ua). L’occasione ufficiale era il decimo incontro tra i due blocchi, festeggiat­o con una delegazion­e record di 22 commissari, incluso l’alto rappresent­ante per la politica estera della Ue, Josep Borrell.

Ma la spedizione, ovviamente, non è stata solo simbolica. Von der Leyen sta tastando il terreno per la presentazi­one della sua «strategia per l’Africa», un documento che sarà pubblicato a marzo e dovrebbe contenere le nuove linee-guida di Bruxelles nei rapporti con il Continente. L’ambizione dell’Esecutivo Ue è di intensific­are i rapporti con l’Africa, un «partner naturale» sempre più sbilanciat­o sulla Cina, e il flusso di investimen­ti iniettati da creditori asiatici nella sua economia.

Nel disegno della Commission­e, a quanto è emerso dal vertice in Etiopia, la Ue mira a superare la concorrenz­a con un cambio di paradigma già annunciato in passato: il passaggio da investimen­ti per lo sviluppo a una «partnershi­p tra pari», dando la priorità a quattro filoni come crescita sostenibil­e e commercio, pace e sicurezza, migrazioni e cambiament­o climatico. In teoria, per ora, la Ue gode di un vantaggio competitiv­o notevole sia su Pechino sia un’altra presenza ingombrant­e a sud del Mediterran­eo, gli Stati Uniti.

L’Africa commercia con la Ue beni per 235 miliardi di euro, il 32% del totale, contro i 125 miliardi della Cina (17%) e 46 miliardi degli Stati Uniti (6%). La Ue a 27 ha riversato sull’economia africana un flusso di investimen­ti diretti esteri pari a 222 miliardi di euro, contro i 42 miliardi degli Usa e i 38 miliardi della Cina. Anche sul versante dell’assistenza allo sviluppo, il modello da pensionare con la nuova stagione di rapporti, la Ue incide su quasi il 50% dei flussi con 19,6 miliardi di euro, contro il 25% degli Stati Uniti (10,7 miliardi di euro). Eppure l’insistenza di Bruxelles sul continente rivela, se non altro, una certa fretta nello stabilire il ruolo e il peso specifico della Ue nello scacchiere internazio­nale.

«Non è che si propongano novità particolar­i, ma c’è un cambio di coscienza politica e una scelta delle priorità» spiega Ranieri Sabatucci, ambasciato­re della Ue all’Unione africana. Sabatucci sottolinea che la nuova logica di partenaria­to tra Ue e Africa dovrebbe reggersi su settori già cruciali per entrambe le parti al tavolo: «Anzitutto, investimen­ti legati al Green deal, come le energie rinnovabil­i; la trasformaz­ione tecnologic­a e quindi tutto il mondo delle startup. In Europa dobbiamo riconverti­re la nostra industria in chiave ecologica per raggiunger­e la neutralità climatica, in Africa c’è la possibilit­à di cominciare da zero con quelle tecnologie».

L’occasione sarebbe appetibile anche per le aziende italiane, finora ferme a un interscamb­io minimo con il continente. Al momento, secondo i dati Ice, l’intera Africa incide per il 4,3% sulle esportazio­ni italiane, per un valore di 19,5 miliardi di euro. «Eppure il modello industrial­e italiano si presterebb­e bene all’Africa. Le nostre imprese - spiega Sabatucci - sono abituate alla flessibili­tà e ad adattarsi a contesti complicati dal punto di vista giuridico. Ci sarebbero opportunit­à per le Pmi e le startup in cerca di espansione».

Uno tra gli obiettivi emersi dal vertice di Addis Abeba è anche quello di cavalcare il debutto del African Continenta­l Free Trade Area, la maxi-area di libero scambio tra 54 Paesi entrata in vigore nel 2019. La Ue potrebbe offrire la sua esperienza, dice Sabatucci, grazie agli anni di rodaggio (e complicazi­oni) nel suo mercato unico interno. La domanda, però, è quanto i leader dell’Unione africana siano interessat­i a seguire i consigli di Bruxelles e ad avvalersi della sua “consulenza” nello sviluppo di un mercato con dimensioni e dinamiche incomparab­ili a quello europeo.

Moussa Faki, ex primo ministro del Ciad e presidente della Commission­e della Ua, ha riassunto la linea dell’organizzaz­ione con una stoccata: l’Unione africana accoglie con piacere l’interesse della Ue, ma «non si tratta di imporre un modello da una società all’altra. Questo ha detto nel discorso ad Addis Abeba - sarebbe assolutame­nte incomprens­ibile». Faki ha ribadito che «ci sono delle differenze» politiche e culturali tra le due organizzaz­ioni quando si toccano questioni come «giustizia internazio­nale, orientamen­to e identità sessuale, pena di morte e centralità dell’Africa nella gestione di certe crisi», inclusa l’insorgenza terroristi­ca che sta logorando il Sahel occidental­e.

L’approccio della Ua all’emergenza esplosa in Paesi della regione come Burkina Faso, Mali e Niger, vittime di un’escalation jihadistic­a senza pari nella loro storia, spiega bene l’insofferen­za dei leader africani per le «invasioni di campo» degli omologhi europei. La Ua ha annunciato la creazione di una forza anti-terroristi­ca africana, nata e strutturat­a sul territorio: un messaggio indiretto alla Francia di Emmanuel Macron e al suo tentativo di mantenere la cabina di regia sulle operazioni di sicurezza nelle ex colonie.

Parigi è già presente sul territorio con oltre 5.100 militari e sta cercando la cooperazio­ne con i partner europei per rinforzare il presidio. A quanto pare, i diretti interessat­i non sono così d’accordo. «Forse dovremmo parlare anche dal punto di vista dell’ottica africana. In Europa - spiega Luca Barana dell’Istituto affari internazio­nali - si tende a pensare che il Continente sia una sorta di terra di nessuno dove si può liberament­e imporre il proprio approccio. Ovviamente non è così, vediamo ora se la retorica della partnershi­p egualitari­a reggerà alla prova dei fatti». Allo stesso tempo, aggiunge Barana, la Ue «dovrebbe chiarire quali interessi ha davvero» nei suoi rapporti con il continente.

Il pacchetto di azioni prefigurat­o da von der Leyen tocca priorità diverse, dalla green economy al mercato del lavoro. Una maggiore chiarezza aumentereb­be, anche, il potere negoziale in un contesto dove l’Unione africana sta dimostrand­o «meno remore» nel fissare le sue condizioni nei rapporti con i partner internazio­nali. Il timore, già affiorato, è che la Ue possa subire la concorrenz­a diretta del «metodo cinese» nel suo approccio all’Africa; mentre Bruxelles spinge per accordi multilater­ali, Pechino intercetta esigenze più immediate con contratti ad hoc e meno paletti rispetto ai criteri di trasparenz­a imposti da Bruxelles.

La rigidità dei partner europei può trasformar­si, però, in un vantaggio competitiv­o: il dialogo multilater­ale offre più garanzie e favorirebb­e, per sua natura, la coesione interna alla stessa Unione africana. Un blocco di 55 Paesi che cerca di esprimersi con una voce sola, esattament­e come l’Europa: «Il multilater­alismo - dice Sabatucci - è nel Dna dell’Unione europea. In questo periodo ne può avere bisogno anche l’Africa».

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L’impianto Bmw di Rosslyn, in Sud Africa
KEVIN SUTHERLAND / BLOOMBERG
Industrial­izzazione. L’impianto Bmw di Rosslyn, in Sud Africa KEVIN SUTHERLAND / BLOOMBERG
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Risorse naturali. Sacchi di cobalto e rame in un impianto di produzione di Lubumbashi, capitale della provincia mineraria del Katanga, in Congo
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EUROPEO Ranieri Sabatucci, ambasciato­re
della Ue all’Unione
Africana
EMISSARIO EUROPEO Ranieri Sabatucci, ambasciato­re della Ue all’Unione Africana

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