Ue, missione Africa per arginare la Cina
La Commissione prepara una strategia di cooperazione con il passaggio dallo schema degli investimenti per lo sviluppo a una partnership tra pari in aree chiave come energie rinnovabili, innovazione e immigrazione
Da quando è approdata al vertice della Commissione europea, Ursula von der Leyen è volata ad Addis Abeba due volte in meno di tre mesi. La prima per una visita istituzionale con il premier etiope Abiy Ahmed. La seconda, il 27 febbraio, per un faccia a faccia allargato tra l’Esecutivo europeo e la sua controparte locale, la commissione dell’Unione africana (Ua). L’occasione ufficiale era il decimo incontro tra i due blocchi, festeggiato con una delegazione record di 22 commissari, incluso l’alto rappresentante per la politica estera della Ue, Josep Borrell.
Ma la spedizione, ovviamente, non è stata solo simbolica. Von der Leyen sta tastando il terreno per la presentazione della sua «strategia per l’Africa», un documento che sarà pubblicato a marzo e dovrebbe contenere le nuove linee-guida di Bruxelles nei rapporti con il Continente. L’ambizione dell’Esecutivo Ue è di intensificare i rapporti con l’Africa, un «partner naturale» sempre più sbilanciato sulla Cina, e il flusso di investimenti iniettati da creditori asiatici nella sua economia.
Nel disegno della Commissione, a quanto è emerso dal vertice in Etiopia, la Ue mira a superare la concorrenza con un cambio di paradigma già annunciato in passato: il passaggio da investimenti per lo sviluppo a una «partnership tra pari», dando la priorità a quattro filoni come crescita sostenibile e commercio, pace e sicurezza, migrazioni e cambiamento climatico. In teoria, per ora, la Ue gode di un vantaggio competitivo notevole sia su Pechino sia un’altra presenza ingombrante a sud del Mediterraneo, gli Stati Uniti.
L’Africa commercia con la Ue beni per 235 miliardi di euro, il 32% del totale, contro i 125 miliardi della Cina (17%) e 46 miliardi degli Stati Uniti (6%). La Ue a 27 ha riversato sull’economia africana un flusso di investimenti diretti esteri pari a 222 miliardi di euro, contro i 42 miliardi degli Usa e i 38 miliardi della Cina. Anche sul versante dell’assistenza allo sviluppo, il modello da pensionare con la nuova stagione di rapporti, la Ue incide su quasi il 50% dei flussi con 19,6 miliardi di euro, contro il 25% degli Stati Uniti (10,7 miliardi di euro). Eppure l’insistenza di Bruxelles sul continente rivela, se non altro, una certa fretta nello stabilire il ruolo e il peso specifico della Ue nello scacchiere internazionale.
«Non è che si propongano novità particolari, ma c’è un cambio di coscienza politica e una scelta delle priorità» spiega Ranieri Sabatucci, ambasciatore della Ue all’Unione africana. Sabatucci sottolinea che la nuova logica di partenariato tra Ue e Africa dovrebbe reggersi su settori già cruciali per entrambe le parti al tavolo: «Anzitutto, investimenti legati al Green deal, come le energie rinnovabili; la trasformazione tecnologica e quindi tutto il mondo delle startup. In Europa dobbiamo riconvertire la nostra industria in chiave ecologica per raggiungere la neutralità climatica, in Africa c’è la possibilità di cominciare da zero con quelle tecnologie».
L’occasione sarebbe appetibile anche per le aziende italiane, finora ferme a un interscambio minimo con il continente. Al momento, secondo i dati Ice, l’intera Africa incide per il 4,3% sulle esportazioni italiane, per un valore di 19,5 miliardi di euro. «Eppure il modello industriale italiano si presterebbe bene all’Africa. Le nostre imprese - spiega Sabatucci - sono abituate alla flessibilità e ad adattarsi a contesti complicati dal punto di vista giuridico. Ci sarebbero opportunità per le Pmi e le startup in cerca di espansione».
Uno tra gli obiettivi emersi dal vertice di Addis Abeba è anche quello di cavalcare il debutto del African Continental Free Trade Area, la maxi-area di libero scambio tra 54 Paesi entrata in vigore nel 2019. La Ue potrebbe offrire la sua esperienza, dice Sabatucci, grazie agli anni di rodaggio (e complicazioni) nel suo mercato unico interno. La domanda, però, è quanto i leader dell’Unione africana siano interessati a seguire i consigli di Bruxelles e ad avvalersi della sua “consulenza” nello sviluppo di un mercato con dimensioni e dinamiche incomparabili a quello europeo.
Moussa Faki, ex primo ministro del Ciad e presidente della Commissione della Ua, ha riassunto la linea dell’organizzazione con una stoccata: l’Unione africana accoglie con piacere l’interesse della Ue, ma «non si tratta di imporre un modello da una società all’altra. Questo ha detto nel discorso ad Addis Abeba - sarebbe assolutamente incomprensibile». Faki ha ribadito che «ci sono delle differenze» politiche e culturali tra le due organizzazioni quando si toccano questioni come «giustizia internazionale, orientamento e identità sessuale, pena di morte e centralità dell’Africa nella gestione di certe crisi», inclusa l’insorgenza terroristica che sta logorando il Sahel occidentale.
L’approccio della Ua all’emergenza esplosa in Paesi della regione come Burkina Faso, Mali e Niger, vittime di un’escalation jihadistica senza pari nella loro storia, spiega bene l’insofferenza dei leader africani per le «invasioni di campo» degli omologhi europei. La Ua ha annunciato la creazione di una forza anti-terroristica africana, nata e strutturata sul territorio: un messaggio indiretto alla Francia di Emmanuel Macron e al suo tentativo di mantenere la cabina di regia sulle operazioni di sicurezza nelle ex colonie.
Parigi è già presente sul territorio con oltre 5.100 militari e sta cercando la cooperazione con i partner europei per rinforzare il presidio. A quanto pare, i diretti interessati non sono così d’accordo. «Forse dovremmo parlare anche dal punto di vista dell’ottica africana. In Europa - spiega Luca Barana dell’Istituto affari internazionali - si tende a pensare che il Continente sia una sorta di terra di nessuno dove si può liberamente imporre il proprio approccio. Ovviamente non è così, vediamo ora se la retorica della partnership egualitaria reggerà alla prova dei fatti». Allo stesso tempo, aggiunge Barana, la Ue «dovrebbe chiarire quali interessi ha davvero» nei suoi rapporti con il continente.
Il pacchetto di azioni prefigurato da von der Leyen tocca priorità diverse, dalla green economy al mercato del lavoro. Una maggiore chiarezza aumenterebbe, anche, il potere negoziale in un contesto dove l’Unione africana sta dimostrando «meno remore» nel fissare le sue condizioni nei rapporti con i partner internazionali. Il timore, già affiorato, è che la Ue possa subire la concorrenza diretta del «metodo cinese» nel suo approccio all’Africa; mentre Bruxelles spinge per accordi multilaterali, Pechino intercetta esigenze più immediate con contratti ad hoc e meno paletti rispetto ai criteri di trasparenza imposti da Bruxelles.
La rigidità dei partner europei può trasformarsi, però, in un vantaggio competitivo: il dialogo multilaterale offre più garanzie e favorirebbe, per sua natura, la coesione interna alla stessa Unione africana. Un blocco di 55 Paesi che cerca di esprimersi con una voce sola, esattamente come l’Europa: «Il multilateralismo - dice Sabatucci - è nel Dna dell’Unione europea. In questo periodo ne può avere bisogno anche l’Africa».