Tribunali e intelligenza artificiale: così l’algoritmo va a sentenza
Che cos’è la giustizia? Un servizio reso ai cittadini o piuttosto un rito chiuso, autoreferenziale e “perfetto”? È un percorso con regole chiare e certe, o sono regole inintellegibili ai più e che assorbono anche il senso percorso? Attorno a queste due domande, che possono apparire retoriche, ma non lo sono per nulla, si sta giocando – e ripensando – il futuro di tante professioni, non ultima quella dei giudici e degli avvocati.
A spingere una rivoluzione silente, qui come in ogni altro ambito delle relazioni socio-economiche dell’era digitale, è la crescita esponenziale del mach i nel earning ed ell’ intelligenza artificiale.
«Cosa si aspetta un consumatore quando acquista un trapano? Di praticare un foro nella parete, nulla più» sostiene Richard Susskind, professore a Oxford, consulente indipendente di studi professionali internazionali e governi nazionali, vero guru dell’AI (intelligenza artificiale) applicata al mondo di toghe e parrucche, recentemente ospite di Deloitte a Milano per dialogare con il mondo forense sul suo ultimo «Online courts and the future of justice». E cosa si aspetta un cittadino che si rivolge alla giustizia? «Di risolvere il suo problema, nulla più» ribadisce Susskind per spiegare la disruption digitale che sta travolgendo e travolgerà sempre più il mondo delle Corti.
Anche perché il futuro è gia iniziato: ogni anno eBay gestisce 60 milioni di contenziosi tra utenti senza lasciare strascichi, senza ricorso a legali e senza mai varcare la soglia di un tribunale. Del resto quale tribunale?, considerato chela de materializzazione dei contratti e la“a ”- localizzazione digitale dei contraenti pone dei problemi enormi in tema di giurisdizione, prima ancora che di competenza territoriale.
L’esperienza del sito di scambi peer-to-peer forse più famoso e utilizzato apre lo scenario sulle Odr – le Online dispute resolution – evoluzione digitale delle Adr (Alternative dispute resolution). Oggi negli Usa e in Uk le Odr stanno diventando la regola, e non solo per motivi di celerità. «L’ambiente della rete ha sviluppato anche su temi giuridici un linguaggio semplificato, accessibile, condiviso» argomenta il professore oxfordiano, e forse non è un male se il cittadino capisce di poter esercitare i suoi diritti in piena consapevolezza (almeno apparente) e senza dover investire tempo e denaro in quantità incerte e sempre difficilmente prevedibili. Perché tra l’altro, spiega Susskind, il 54% della popolazione mondiale (anche) per questi motivi non ha accesso al servizio giustizia (che peraltro nelle forme tradizionali ha costi non sempre e non da tutti affrontabili), mentre il restante 46% a volte ne rimane incagliato. A questo proposito, cita il professore britannico, in Brasile ci sono oggi 100 milioni di fascicoli giudiziari arretrati, in India sarebbero 30 milioni, ma anche in Italia – dato non citato da Susskind nelle sue presentazioni internazionali – secondo l’ultimo rapporto del Ministero giacciono 3,3 milioni di procedimenti civili e 2,7 penali, pur in sensibile recupero rispetto al passato.
La digitalizzazione delle dispute muove quindi su tre piani, alcuni dei quali già sperimentati e da lungo tempo in Inghilterra e Galles (con il Money Claim online del 2002): dalle Odr appunto – che rappresentano la prevenzione del contenzioso giudiziario, dispute avoidance – alla dispute containement (il ricorso al giudice specializzato) fino all’estremo, affascinante ma ancora acerbo utilizzo dell’algoritmo per la definizione dei processi, futuri ma anche passati (quelli pendenti).
Ma siccome lo sviluppo degli applicativi dell’AI ha una velocità ultrasonica, la questione di “arginare” la toga totalmente automatica va affrontata ora, senza dimenticare che un alleato potente alla de materializzazione di corti e processi potrà essere (se già non lo è) la tecnologia blockchain. Contratti automatici, criptazione dei processi di formazione degli atti, totale “a”-territorialità degli accordi tra persone (o tra computer?) sembrano già spingere oggi verso una soluzione ineluttabile, dove la presenza di una giurisdizione “terza” – e cioè affidata agli Stati (che tra l’altro dal 1997 ad oggi hanno già perso tutta la partita dell’Internet 2.0, stravinta dagli oligopolisti di rete) – appare totalmente svincolata dalle stesse aspettative della generazione nativa digitale.
L’ ultimo baluardo dl processo novecentesco ,“fisico ”, rituale e professionalizzato probabilmente sarà–e neppure nella sua interezza – il processo penale, quantomeno nella forma solenne dei maestosi procedimenti per fatti di grande impatto sociale e, spesso proprio per questo, di grande rinomanza dei protagonisti. Una sorta di zona franca dove, più della performance dei dati, continuerà a prevalere l’idea di una giustizia che sappia essere equa e, entro certi limiti, anche innovativa.
La dematerializzazione di corti e processi può trovare un alleato nella tecnologia blockchain
Ribadito il controllo dei giudici sui dati utilizzati dai software e il loro potere di decidere altrimenti